Partiti e politici
Matteo Renzi: dall’altare alla polvere in soli 4 anni
Ad un osservatore esterno, venuto da Marte ad assistere all’Assemblea del Pd di sabato scorso, la situazione del partito e quella del suo segretario uscente Matteo Renzi poteva sembrare quasi paradossale. Soltanto quattro anni fa, proprio in concomitanza con le consultazioni europee, il Partito Democratico e Renzi avevano ottenuto dagli italiani un livello di consensi mai raggiunto in precedenza da una formazione di sinistra (o di centro-sinistra), in quasi settant’anni di storia repubblicana: il 40,8% dei validi alle elezioni europee del maggio 2014, con un numero di voti superiori a 11 milioni, oltre due milioni e mezzo in più di quanti avevano scelto il Pd di Bersani l’anno precedente, nelle politiche del 2013.
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Come era possibile che un partito con un seguito elettorale così ampio, con un segretario che a quell’epoca godeva di un livello di fiducia elevatissimo (quasi il 70% degli italiani formulava una valutazione positiva nei suoi confronti), alla guida di un governo che, seppur di coalizione con una forza politica di centro-destra, aveva un buon gradimento tra la popolazione, com’è possibile dunque – si sarebbe chiesto questo “marziano” – che in poco più di tre anni, alle elezioni politiche del 2018, il Pd fosse precipitato dall’altare alla polvere nella considerazione dei cittadini?
E lo stesso Renzi aveva nel 2014 la fiducia della maggioranza di tutti gli elettorati: del 95% di quelli del Pd, l’80% di Scelta Civica, il 60% della sinistra e del centro-destra, perfino il 50% dei pentastellati, oltreché dei potenziali astenuti. Insomma, un plebiscito. A distanza di quattro anni, il gradimento medio di Renzi è di poco più del 10%, e gli stessi votanti del Partito Democratico stentano a superare la metà di voti positivi nei suoi confronti.
C’è qualcosa che non quadra, avrebbe detto il nostro marziano, forse gli istituti di ricerca che elaborano questi dati hanno commesso qualche errore. Molto difficile, tanto sono unanimi nelle loro conclusioni. Forse invece gli italiani avevano scambiato Renzi per qualcun altro. Ecco. Forse è questa la motivazione che probabilmente si avvicina maggiormente alla verità. Molti dei nostri concittadini avevano ipotizzato che Renzi incarnasse una figura di uomo politico diverso. Un uomo politico attento ai bisogni della popolazione, che volesse rilanciare un partito che era in procinto di venir abbandonato da un’ampia fetta di elettorato, dopo la segreteria Bersani, così diversa, così “old-style” rispetto a quella di Veltroni.
Un leader che indicasse una nuova via per il Pd, più collegiale, che avesse la forza di puntare su parole nuove per il centro-sinistra, che abbandonasse i temi cari ad un socialismo e ad un comunismo che avevano fatto il loro tempo, dopo la globalizzazione, dopo la caduta del Muro di Berlino, andando incontro ad una società diversa, più atomizzata, più pragmatica, meno fedele a scelte di voto antiche e ormai superate. Forse Matteo Renzi incarnava tutti questi desideri, che erano i desideri di tutti gli italiani, non soltanto di quelli di sinistra. E gli elettori avevano visto in lui tutto questo, e l’avevano votato, e avevano fiducia in lui.
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Si sono sbagliati.
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