Partiti e politici

I renziani cacciano dal PD chi va a casa Berlusconi. E quando ci andava Renzi?

31 Marzo 2015

Il caso esplode oggi, anche se la notizia data qualche giorno, il “fattaccio” – vedremo poi quanto “accio” – risale a Febbraio. Marco Zambuto, presidente del Pd siciliano, viene di fatto obbligato alle dimissioni perché è stato a Palazzo Grazioli, nella residenza romana di Silvio Berlusconi, dove avrebbe concordato le discusse primarie unitarie di Agrigento. Quelle organizzate insieme, dal Pd e da Forza Italia, nelle scorse settimane e che hanno visto vincere Silvio Alessi, il candidato appoggiato anche, esplicitamente, da Forza Italia. Proprio su Gli Stati Generali, intervistato da Gaetano Savatteri, il segretario dem di Agrigento Peppe Zambito ha difeso l’operazione come l’unica che può consentire a un partito fortemente minoritario – il Pd di Agrigento – di dire la sua in sede di governo cittadino.

Realpolitik? Troppa, direte voi. Già: ma guardiamo la vicenda con un minimo di distanza e prospettiva. Il governo regionale di Rosario Crocetta si regge, fondativamente, sull’accordo con pezzi di centrodestra siciliano: uomini di Cuffaro, uomini di Lombardo. Ma questo va bene, è tutto accettabile, basta non andare a casa di Silvio. Da essere alleati a diventare la stessa cosa: Giuseppe Alberto Falci, proprio alla fine di quel febbraio incriminato, racconta infatti di una transumanza per cui pezzi di quella vecchia Sicilia diventano parte integrante del nuovo Pd.  Ancora una volta, va tutto bene: basta non andare a casa di Silvio. Tanto va tutto bene che meno di dieci giorni dopo, alla celebrazioni ufficiali per questi nuovi innesti che portano freschezza e soprattutto voti al Pd Siciliano, presenziano nientemeno che Lorenzo Guerini e Davide Faraone. Vale a dire il renzismo ufficiale, quello che da Roma segue tutte le partite più importanti sui territori, nella persona di Guerini, e quello siciliano della prima ora, rappresentato da Davide Faraone. Evidentemente va tutto bene, basta che non si vada a casa di Berlusconi.

Infatti sono proprio Guerini e Faraone, affiancati dal segretario regionale Raciti, che oggi tuonano, chiedono e ottengono le dimissioni di Zambuto perché – appunto – è andato a casa di Berlusconi. Ci è andato, con ogni probabilità, per discutere di un’operazione politica  – le primarie congiunte – discutibile finche volete, magari inopportuna ma ampiamente avallata dal partito regionale e nazionale, tanto che nessuno si scagliò contro il segretario di Agrigento o contro quello regionale (quel Raciti) che quelle primarie avevano accettato e in definitiva benedetto, salvo poi correre goffamente ai ripari a risultato acquisito dichiarandole annullate (per quali ragioni? boh). Il problema insomma non è di sostanza politica, ma solo di forma: a casa di Berlusconi non si può andare, punto e basta. Chissà perché?

Il dubbio si rafforza a ricordarsi che, appena qualche qualche anno fa, suscitando fastidi nei suoi compagni e prendendosi i complimenti da un Berlusconi ammaccato ma ancora potentissimo – ancora Berlusconi – a casa di Berlusconi ci era andato Matteo Renzi. Le cronache del tempo malignavano di investiture e eredità politiche. Nessuno chiedeva le dimissioni, ma il fastidio dei puristi era evidente. La casa era diversa, ma il padrone di casa era lo stesso e, tocca dirlo, allora contava davvero più di qualcosa. Diverso era l’ospite, diversi erano i tempi e i leader di partito. Diversi erano, insomma, i pesi e le misure. Sarebbe bello se Zambuto, invece di arrampicarsi sugli specchi di improbabili giustificazioni in nome dell’amicizia con uomini di Forza Italia, rispondesse, semplicemente: “Ma che c’è di male? Io ricordavo che c’era stato il segretario presidente Renzi, e di quell’esempio mi ero fidato”.

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