Partiti e politici
Matteino, Guicciardini e il nostro futuro in Europa
Purtroppo sono tempi dove vale più la Discrezione di Guicciardini che la Virtù di Machiavelli. Sono tempi in cui politica e società si costituiscono in continui sforzi di tutela di propri destini individuali, alti o bassi poco importa, lontani da visioni alla moda della Prima Deca di Tito Livio.
Non che si sia così ingenui dal pensare che nella vita si debba essere tutti martiri votati all’altrui interesse né di poter definire un interesse comune erga omnes (che di errori in merito nel passato se ne fecero eccome e pure tragici) ma il pragmatismo individualista nella cosa pubblica è ormai la nostra disfatta quotidiana.
Il proporzionale ha aperto al “forse io me la cavo” e alla consustanziale declinazione in identità che il maggioritario italiano non aveva saputo amalgamare per paurosi limiti culturali limitandosi a costringere alla somma e mai al fare risultato.
Nel maggioritario Matteo Renzi ha perseguito il suo disegno con una determinazione che in molti avevamo scambiato per lungimirante visione. La gran parte delle riforme del suo governo ha più o meno tecnicamente funzionato ma esse avevano anche un comune denominatore, nel provare a svecchiare il Paese il fare a pezzi quella parte di Partito Democratico alla quale Epifani, unico, ha dato dignità contenutistica nella assemblea di qualche giorno fa. Ed è vero che Matteino ha nei fatti rinnegato la “multiculturalità” del PD a favore di una visione unilaterale, la sua, il particulare appunto, e si comprende come ormai spogliato del manto di statista e immerso nel quotidiano debba spingere a fondo sulla rottura con la “minoranza” a qualsiasi costo.
Ma la domanda è: era questo il problema dell’Italia, la ragione per cui accese tante speranze oltre i confini di un partito? La risposta è ovvia ma va rafforzata dagli accadimenti di questi tre anni e porta dritti alla questione autentica della politica italiana: il rapporto con l’Unione Europea e i nostri partner anche se così sembra cosa iperuranica e sì, pure un po’ noiosa dal non aver alcun riscontro nella ressa quotidiana dei problemi nelle nostre vite.
Invece è il cuore del problema e fa rientrare Machiavelli dalla finestra, perché qui serve virtù e fortuna.
La Virtù è l’abbandonare i pugni sul tavolo con Bruxelles, la narrazione dice essere l’elemento distintivo di Matteino rispetto a Berlusconi e allo stesso Gentiloni, se questi pugni sul tavolo sono indirizzati ad ottenere una elasticità da giocare su politiche espansive in deficit perché esse hanno clamorosamente fallito. L’elasticità ci è stata concessa e non poca ma il deficit non ha funzionato e non avrebbe potuto perché, e bisogna rassegnarsi, lo Stato non è un perfetto allocatore di risorse, anzi: le condizioni in cui versa la macchina pubblica con gli innumerevoli problemi giuridici connessi al suo funzionamento rende impossibile ciò che un tempo era solo arduo. Chi sa allocare al meglio e in tempo le risorse siamo tutti noi, non altri, e ciò significa che la questione fiscale, comodamente accantonata, torna ad essere la più importante proprio perché si emancipa dal particulare e spera in Virtù e favorevole Fortuna. Certo, significa che lo Stato si riduce nei suoi centri di potere ma essendo loro inefficienti non se ne sentirà la mancanza. Per poterlo fare bisogna tornare a parlare a Bruxelles e in modo particolare, almeno finché resiste l’Europa intergovernativa che è stata un vero disastro, bisogna parlarne con i più arcigni dei nostri amici tedeschi perché invece dei compiti a casa dobbiamo mettere sul tavolo IL compito: l’uscire dalla spirale del debito attraverso i risultati di una politica di riduzione fiscale. Non sto qui a declinarne le modalità, montagne di scritti autorevoli vanno in particolari quasi feticistici in materia e a quelli rimando. Mi interessa sottolineare il cambio di paradigma politico e il battere i pugni sul tavolo per ottenere qualcosa che funzioni e guardate che il farlo ha valore per noi ma lo ha per l’Unione Europea: non tanto per astratta convinzione ma perché è inevitabile che la strada debba essere così credibile da rendere accettabile una condivisione solidale del debito passato e accadrebbe che sia la solidarietà su un debito e non il sollazzo della divisione degli utili a ridare significato alla Unione. A fronte di questo serve una credibilità del gruppo dirigente italiano e una sua assunzione di responsabilità storica e non la discussione inzopportabbile tra Sovranisti e Europeisti (sbagliati) perché ci sarebbe una ammissione esplicita: chi ha debito non è sovrano, è debitore e basta, una riduzione della sua libertà non è il capriccio dei vincoli di Maastricht ma la cosciente presa in carico delle responsabilità del buon padre di famiglia che non fa il sovranista a spese altrui.
Ce la può fare il Paese oggi? No, e se il problema diviene tragedia, la farsa purtroppo è lontana. Siamo al punto che i “cattivi” di Bruxelles ci chiedono almeno un atto simbolico, perché la manovra di aggiustamento tale è nella sua entità, ma il Governo è così bloccato dal particulare renziano da non poter nemmeno decidere di mettere una miserabile accisa sulla benzina paventando così un 2017 di una transizione senza esito certo. L’Unione Europea nacque sulla inusitata e mai vista solidarietà tra vincitori e vinti, possibile non solo perché nel ’45 come nella Grande Guerra era chiaro chi aveva vinto e perso ma perché a differenza del ‘18 vi fu una totale e storica assunzione di responsabilità degli sconfitti (italiani un po’ meno). Noi oggi potremmo non essere ancora sconfitti, lo saremmo se perdessimo Euro e uscissimo dalla Comunità: dobbiamo però assumerci le nostre responsabilità storiche nei confronti dei nostri partner e di noi stessi. Cambiare paradigma non solo ci conviene economicamente ma sarebbe una lezione politica da grande paese come lo sarebbe per gli altri accettarla. Virtù ci serve nel cambiare, Fortuna nel riuscire a spiegarlo. Ma il Particulare no, basta, risparmiatecelo, non ci piace dai tempi del Liceo
Devi fare login per commentare
Accedi