Partiti e politici
La sinistra mai così in basso alle elezioni regionali
Non c’era mai stata, da quando è stato introdotto il voto diretto dei cittadini per eleggere il Presidente della Regione, nel 1995, una situazione così deficitaria per la coalizione di centro-sinistra. Nel nuovo millennio, e considerando unicamente le 15 regioni a statuto ordinario, che hanno spesso votato in contemporanea, le vittorie di candidati di sinistra sono sempre state o 7 (negli anni pari: 2000, 2010 e 2020) oppure 12 (negli anni dispari: 2005 e 2015), in correlazione inversa rispetto al segno politico del governo nazionale.
Quando cioè a governare era il centro-destra, il centro-sinistra incrementava infatti il numero di regioni vincenti, mentre il contrario accadeva quando il governo era di pertinenza del centro-sinistra. Qualcosa che anticipava di fatto il futuro cambiamento anche del voto nazionale: una sorta di elezione di mid-term, in cui generalmente, finita la luna di miele con la coalizione di governo, l’elettorato iniziava a percorrere la via dell’alternanza, come è capitato continuativamente in Italia dal 1994 al 2018, prima dello sconvolgimento provocato dal successo pentastellato.
Ma, a partire dal 2015, dove ancora il centro-sinistra governava in 12 regioni, lasciandone tre soltanto al centro-destra (Lombardia, Veneto e Liguria), la situazione volge per loro progressivamente verso il peggio, con la perdita, uno dopo l’altro, di Piemonte, Basilicata, Calabria, Abruzzo, Molise e, infine, di Umbria e Marche, due degli emblemi delle antiche zone rosse. Sette regioni in meno, cui si aggiungerà, tra una quindicina di giorni, il Lazio, dopo i due mandati di Zingaretti. Senza considerare, tra l’altro, che anche Sicilia, Sardegna, Friuli V.G. e Trentino sono da tempo in mano al centro-destra.
Restano dunque “rosse” unicamente Emilia-Romagna, Toscana, Campania e Puglia; e queste ultime due regioni, una volta terminati i mandati di Emiliano e De Luca, proseguiranno presumibilmente con molta difficoltà il loro viaggio a sinistra. Un patrimonio di ipotetico buon governo locale, da sempre sottolineato da quella parte politica, che viene così percepito sempre meno, da parte della popolazione elettorale.
Gli ultimi sondaggi pubblicati in questi giorni, e riguardanti le competizioni in Lombardia e Lazio, confermano la quasi scontata vittoria del centro-destra, accanto agli usuali errori tattici e strategici del Partito Democratico, che si allea nel nord con i 5 stelle ma non nel centro. Se in Lombardia questa alleanza non ha se non scarsissime chance di vittoria, non così accadrebbe nel Lazio: al di là della polemica sul termovalorizzatore, quella regione ha visto negli ultimi anni un governo Pd-M5s abbastanza forte e coeso e ora, quasi incomprensibilmente, decide di consegnare la regione alla destra, laddove le possibilità di vittoria, se uniti, sarebbero certo molto elevate. Ma tant’è.
Forse la colpa nel Lazio non sarà del solo Partito Democratico, ma resta il fatto che lo scoramento del suo elettorato in questa tornata elettorale è talmente elevato che il tradizionale indicatore winner, la previsione cioè del vincitore, vede soltanto il 7-8% degli intervistati pronosticare la vittoria del centro-sinistra, cui non crede paradossalmente nemmeno chi lo vota. Tempi bui per i Dem e per il suo popolo.
Università degli Studi di Milano
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