Partiti e politici
Ma tu guarda… hanno vinto tutti
Gli exit poll hanno decretato la schiacciante vittoria del “sì” al referendum costituzionale sul “taglio dei parlamentari”; l’affluenza è stata, tutto sommato, dignitosa e i principali partiti possono, tutti quanti, festeggiare.
Il Movimento Cinque Stelle può celebrare la vittoria nella sua principale battaglia identitaria, dimenticando per un attimo le sue debolezze: l’irrilevanza amministrativa (certificata dagli esiti delle regionali) e soprattutto la sua fragilità strutturale, rivelata ogni giorno da conflitti interni sempre più accesi. Lega e Pd, che in momenti diversi hanno contribuito al percorso della riforma e che hanno sostenuto il “sì”, possono tirare un respiro di sollievo: gli elettori non li hanno sconfessati; quanto a FdI, si è comodamente adagiato sul risultato previsto.
La prevalenza del “sì” rafforza anche molte leadership traballanti: quella del premier Conte, artefice della riforma sia con il suo primo che con l’attuale governo, al quale molti avversari speravano di dare una “spallata”; quella di Zingaretti, contestato nel suo partito da chi lo accusa di essere succube del M5S; quella di Di Maio, che intorno alla vittoria potrà riunire un Movimento sempre più frammentato; in parte, persino quella di Salvini, i cui oppositori interni avevano imboccato la strada del sostegno al “no”.
Il popolo italiano, come sempre, ha vinto “per definizione”: così vuole la nostra Costituzione – e così ci racconterà la narrazione “populista”, che dipingerà la riduzione del numero dei parlamentari come la rivincita dei cittadini sulla “casta” dei politici.
Tutti felici, dunque? Forse non proprio.
La rivoluzione istituzionale innescata dal ridimensionamento delle Camere richiederà diversi aggiustamenti costituzionali e – soprattutto – una nuova legge elettorale che sarà al centro di un infuocato dibattito politico, perchè stabilirà il meccanismo con il quale verranno ripartite le meno numerose poltrone del Parlamento. Così, mentre l’Italia dovrà affrontare (forse) una nuova ondata di contagio e (sicuramente) una devastante crisi economica, i partiti si ripiegheranno sul proprio ombelico, accentuando quel senso di distacco dalla realtà del Paese che la riforma avrebbe dovuto, almeno in parte, sanare.
La “vittoria condivisa” del sì tenderà poi a congelare i rapporti di forza attuali tra i partiti, soprattutto se gli esiti delle regionali non portassero a un loro ribaltamento clamoroso: il rischio è allora che il governo, più o meno “rimpastato” (altro inevitabile passaggio autoreferenziale), prosegua stancamente, logorandosi negli equilibrismi ed esasperando i cittadini più desiderosi di un segnale di riscossa per il Paese.
Infine, in un futuro forse lontano (o forse no), il destino di tutti i governi sarà deciso da soli centouno senatori: un’oligarchia sempre più ristretta e sempre più auto-riferita, soprattutto se la prossima legge elettorale delegherà ancora ai capi partito la scelta dei candidati.
Passato il momento dei brindisi, insomma, temo che ci sarà poco di cui rallegrarsi: la “vittoria di tutti” potrebbe trasformarsi nello scacco del Paese.
(fonte dell’immagine)
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