Partiti e politici
Ma Renzi piace ai giovani?
Una volta, negli anni Settanta, i giovani erano ben determinati. Se uno era di sinistra, era impossibile per lui avere una ragazza di destra, o di centro. E viceversa: se una ragazza era di destra, non poteva girare con un fidanzato di sinistra. Gli amici non l’avrebbero accettato, a meno di una repentina conversione, di una abiura della sua fede. Un pochino talebani, certo. Ma anche una prova di quanto la politica, il credo in una specifica visione del mondo, fosse fondamentale per la costruzione della propria esistenza, delle idee che governavano le proprie scelte.
Oggi non è più così. In un piccolo sondaggio fatto tra i miei studenti, ho chiesto di individuare i principali tre elementi che definiscono la loro personalità, il loro modo di rapportarsi con gli altri. Ebbene, solo in 4 (su 120), hanno incluso la politica, o il credo politico, tra gli aspetti fondamentali e irrinunciabili che regolano il proprio agire. Molto, molto più indietro addirittura della squadra del cuore. Il calcio, l’essere interista o milanista o juventino, batte la politica per 25 a 4. E quegli studenti, oltretutto, stanno frequentando la facoltà di Scienze Politiche, non medicina o ingegneria. Sorprendente? Mica tanto. Il voto, il consenso per un certo leader, per un certo partito, non sono più così importanti, fanno parte di qualcosa che magari si prende in considerazione, se si viene interrogati, ma resta un tratto secondario nella costruzione del mondo interiore.
Se c’è una discussione politica tra partner, a volte si può anche litigare, se non si è d’accordo, ma è come litigare sul giudizio di un film, di un cantante, di un amico comune. Con scarsa pregnanza, con un trasporto limitato, che certamente non compromette, né mette in dubbio, il proprio rapporto amoroso. Semplicemente: è un peccato che non abbiamo la stessa idea su Renzi, o sul Pd, o su Salvini. Amen, parliamo d’altro.
Il fatto dunque che la politica non sia così rilevante per i giovani ci dice anche come il loro favore nei confronti dei leader politici sia spesso altalenante. Ai suoi esordi, più o meno un paio d’anni fa, Matteo Renzi era vissuto con favore, come il rappresentante di un modo nuovo di porsi nei confronti della politica, come colui che riusciva a scardinare i vecchi schemi, rottamando la vecchia classe dei dirigenti, in nome della rapidità delle scelte e della voglia di nuovo. Un po’ come Grillo durante la campagna elettorale del 2013.
Poi, poco alla volta, qualcosa è svanito. Il premier viene sì giudicato ancora diverso dai leader precedenti, ma in modo sempre più sfumato, con caratteristiche sempre meno dirompenti: qualcuno che è entrato in quel mondo per cambiarlo radicalmente e poi è divenuto vittima, consapevole o meno, di quel sistema, di quelle logiche, facendosene fagocitare. Oggi il consenso per Renzi tra i giovani è molto diminuito. Le speranze in lui molto ridimensionate. Meglio di Bersani, certo, o di Letta, o dello stesso D’Alema, rappresentanti del vecchio sistema. Ma non appare più, ai loro occhi, così deciso a cambiare i tratti della politica. Si sta adeguando. Non è più il nuovo che avanza, ma un’ipotesi di novità che è stata riassorbita dai tradizionali meccanismi del nostro paese. Una speranza in meno.
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