Partiti e politici
Ma questi sono gli stati generali dell’antirenzismo?
Sia detto senza contumelia ma a mettere in fila gli ultimi pezzi di politica di questi nostri statigenerali, l’impressione che se ne ricava è che sia in corso l’assemblea costituente di un antirenzismo di sinistra insieme un poco spaesato e un poco snob. S’avverte come un fastidio, come una riluttanza a dover ammettere che questo ragazzotto fiorentino ha scosso la polvere che giaceva da troppo su mobili e suppellettili. E che ora ci sia qualche starnuto e qualche colpo di tosse non può stupire.
C’è qui come altrove, per il vero, la teoria dei rammaricati e dei rimpiantisti, che nel celebrare le glorie di una fu politica seria e concreta, rimpiangono quando la destra era destra e non quello spappolamento di arcipelaghi di interessi e di revanchismi poco credibile o poco maneggevole che oggi ci ripropongono Berlusconi e Salvini. Si rammaricano che la sinistra non sia più poi così tanto sinistra, e nello sforzo di misurare le riforme per quanto intensamente appartengono a una tradizione politica (il jobsact è molto abbastanza poco o per nulla di sinistra?), si sorprendono di un Paese in cui la difesa del proprio orticello avvizzito produce mostri come quello risvegliato dal Cda della Rai che ricorre contro il suo azionista o quello di un sistema giudiziario talmente lento che non riesce a dare giustizia ai morti ammazzati di amianto.
E’ dura da digerire ma quell’Italia là, quella del pentapartito, della bicamerale, della lira e della triplice, ma anche di Prodi e Berlusconi, del Circo Massimo e di Massimo D’alema…quella nazione là insomma non c’è più e più non tornerà. Sotterrata da una crisi economica senza eguali e dall’inadeguatezza di una classe politica tanto solida e chiara nelle posizioni quanto inane nelle soluzioni. S’è disfatto tutto e con buona pace di chi si sente spaesato e senza àncora, vien da tirare un sospiro mormorando tanto peggio, tanto meglio; nonostante le sciocchezze di un Landini in fregola da prima pagina e di chi pontifica sulla superiorità morale della sinistra a cui Berlinguer ha impiccato il PCI e suoi epigoni.
Poi ci sono gli infastiditi non tanto per il merito – di cui si può discutere e se ne discuta tanto, ben venga – quanto per il metodo. Decisionista, accentratore, guascone e pure un po’ superficialotto, con la battuta sempre in punta di lingua e un intuito politico formidabile, Renzi si è costruito tra gli addetti ai lavori – lo si dica una buona volta – la fama di antipatico ed egocentrico, di leader incapace di delegare e di fidarsi, litigioso e anche un po’ vanesio. E questo basti a far arricciare il naso a chi ” la politica è una cosa seria, fatta di collaborazione, discussione, condivisione, attenzione, concentrazione e…”. Si badi, le cose che Renzi fa non piacciono, più per come le fa, piuttosto per ciò che sono. Perché tenta di riformare il mercato el lavoro bastonando i sindacati già agonizzanti, perché fa annunci a rotta di collo in cui si fatica a vedere il fondo spesso del progetto concreto, perché dà 80 euro in busta paga in barba agli economisti e il tfr anticipato alla faccia di Banca D’Italia. Perché, in fondo in fondo, è poco serio e poco fair per un Presidente del Consiglio fregarsene di Istituzioni e Corporazioni, per di più sbattendo loro in faccia il suo più sinistro hashtag: #statesereni
In tutto questo irritarsi compiaciuto noi degli statigenerali non dovremmo sguazzare, piuttosto potremmo cercare di sollevarci, abbandonando la tentazione di spiegare agli italiani come dovrebbero votare se fossero più intelligenti o meno rincoglioniti dalle televisioni e dai media. Partire dal cercare di riconoscere le buone ragioni per le quali le persone scelgono quello che scelgono e votano quello che votano, è forse il gesto di democrazia e di onestà intellettuale che più è mancato in questi anni di contrapposizioni feroci, in cui hanno albergato i peggiori esempi di acrimonia preconcetta en travesti da intellettuale più o meno militante. Gli italiani che hanno votato Berlusconi, che votano Salvini e Renzi hanno delle buone ragioni che dobbiamo rispettare prima di provare, legittimamente, a convincerli che le nostre, di ragioni, sono migliori.
Così io, che con questo pezzo mi prenderò dell’ultrà Renziano che non sono, mi sforzo di capire che per chi ha militato nella Cgil per una vita, operaio o impiegato non importa, è difficile ripensare il mondo con schemi diversi da quelli consueti. Salpare l’ancora e muoversi al largo crea confusione e paura, e dalla paura all’aggressività il passo è breve. E comprendo che, per chi ha fatto della politica una professione e per chi ha studiato e approfondito i nodi di questo nostro paese strozzato, vedere la complessità rimasticata e sputata sotto forma di un tweet, suoni come un’insopportabile sfrontatezza. E dal corrucciato sprezzo all’inutile saccenza, anche in questo caso il passo è breve.
Io per me mi sono segnato una strada che in queste pagine ha illustri e migliori testimoni del sottoscritto che da tempo hanno abbandonato il ping pong delle idee per provare ad andare a vedere davvero le carte della politica renziana, senza supponenza e senza fastidio, ma con l’acribia di chi fa le pulci e chiede ragione delle scelte e delle proposte. E che sanno che la sfida è ben di più alta che far sentire forte il rumore dei piedi che sbattono in terra per il capriccio di chi non accetta il presente. Ma si tratta di piantare i paletti un metro più in là di Matteo Renzi, per chiedergli di correre più svelto e più avanti.
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