Partiti e politici

Ma quanto D’Alema c’è nel governo Conte 2

4 Settembre 2019

Ne avevamo letto, incuriositi, il distacco, quasi dimesso, nell’intervista rilasciata oggi al Corriere della Sera. Un D’Alema senza sarcasmo, senza troppo veleno, solo qualche tagliente omissione di giudizio su Renzi, tralasciato come non abbastanza rilevante. Poca roba. Poi un dotto e interessante pippone sul miglior sistema elettorale per ricostruire il bipolarismo. Avevamo già nostalgia, e sbagliavamo.

Massimo D’Alema era nascosto al pelo dell’acqua, perché stava nascendo uno dei governi più dalemiani di tutti i tempi. Forse secondo solo a quello che ebbe lui per presidente, ormai 21 anni fa.

Già, perché a scorrere con occhio accorto il listone dei ministeri, il rilevatore di dalemismo sobbalza almeno quattro volte.

Non ci sono dubbi, per cominciare, sull’uomo Pd che ricopre il ruolo più pesante nel governo. Roberto Gualtieri, professore di storia, vicepresidente dell’istituto Gramsci, entrato in direzione Ds nel 2007 proprio come un fedelissimo di Massiml D’Alema, un ruolo di lungo periodo nella dalemianissima ItalianiEuropei.

Di formazione dalemiana è anche Vincenzo Amendola, ministro agli affari europei, che i più appassionati di archeologia della sinistra italiana ricordano, nel 1998, sempre là torniamo, responsabile Esteri di Sinistra Giovanile, e poi membro dello segreteria nazionale nel 2006, anno in cui D’Alema torna al governo come capo delegazione dei Ds e ministro degli Esteri.

Anche il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano, più giovane e quindi arrivato a Roma e nel partito quando la presa di D’Alema cominciava a scemare, o così sembrava ai meno accorti, è però in continuità con quella scuola di pensiero e di azione politica. Basta scorrere i numeri di ItalianiEuropei degli ultimi anni, e conoscere il fitto e qualificato reticolo di relazioni politiche del giovane studioso per avere certezza di un legame che è stato di cultura politica, prima che partitico. Un legame solido con Emanuele Macaluso, ma anche con Anna Finocchiaro.

Infine, da ultimo, ma certo non ultimo per dalemismo, è Roberto Speranza, ministro della salute. Lui, tra tutti, è l’unico che può dirsi dalemiano ancora oggi, avendo seguito il leader Massimo anche fuori dalle colonne d’Ercole, avendo lasciato il Pd e seguito la scissione che ha portato alla nascita di Leu. Una nascita non particolarmente premiata dall’elettorato, “diciamo”, ma che nell’archivio di questo secondo pezzo di legislatura dà ai pochi senatori di Leu un peso decisivo nella formazione del governo e nella sua sostenibilità parlamentare.

Del resto, si sarebbe detto una volta, è un’operazione “di palazzo”, quella che fa nascere questo governo. Un governo pensato dai pronipoti di Machiavelli, il grande intellettuale che più volte D’Alema ha avuto l’onestà di rivendicare come grande in pubblico. A ordire “la manovra” son stato Renzi e i Di Maio, a subirla e poi ad assecondarla Zingaretti, a benedirla addirittura Beppe Grillo in persona.

Ma certamente non è per caso, se, alla fine, in un governo che nasce dal lavoro politico tutto dentro il parlamento, la silhouette più forte è quella di Massimo D’Alema.

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