Partiti e politici

Ma davvero vi interessa essere sovrani, per regnare su un cumulo di macerie?

29 Maggio 2018

Ma davvero tra una Amburgo o Liegi, in cui non vedete una carta per terra, e la Roma in cui non si è potuto neppure correre l’ultima tappa del giro per le troppe buche sulle strada, preferite l’Italia?
Davvero tra quei politici tutti molto ammantati di pedante corectness, così precisi nel loro avere competenze tecniche che si vedono nei governi degli altri paesi e “Giggino nostro” che non dico una laurea, ma “manco” la patente ha, trovate così importante la sovranità? Lo dico davvero a prescindere dalla scelta del Presidente della Repubblica, che non ho strumenti per valutare se ha compiuto un azzardo, un azzardo disperato e necessario o solo fatto il suo mestiere con competenze tecniche che non ho (come quasi nessuno di chi commenta oggi, con fare sicuro, aggiungerei).

Davvero quest’oggi patetico è preferibile al nostro bianco e nero?
Al nostro glorioso passato del boom economico in cui si prendeva ordini via cablogramma dall’America, pur non sapendo nessuno l’inglese? A quando i Servizi Segreti di mezzo mondo pascolavano per il Belpaese? Al glorioso duopolio tra il PCI con i suoi fondi da Mosca e la DC che saldava i conti in dollari?
Sarebbe questa l’autonomia e la sovranità che ci manca? O si preferisce quella in cui abbiamo consegnato le chiavi di casa ai nazisti completamente in ginocchio mentre i reali e i governanti dei bei tempi fuggivano mascherati per non farsi riconoscere?

Davvero vi preme questa sovranità? Su che temi? Sul vostro lavoro che passa di certo già per qualche gruppo internazionale? O siete in qualche ufficio (para o meno che sia) statale che, quando si parla di quello del vicino, siamo tutti pronti a dire che avrebbe senso venisse cancellato? Sovranità rispetto ai vostri conti in banca che l’Europa ha tenuto, da 15 anni almeno, a tassi minimi nonostante i nostri governanti (pessimi, su questo siamo d’accordo o Renzi che dei consigli di Draghi se n’è sbattuto abbastanza andava bene perché “lui si che decideva”, o Berlusconi che faceva “cucù” alla Merkel sì che sapeva come trattarla…) e politiche di spese senza fondo che hanno sempre tenuto in questo nostro bellissimo ma disgraziato Paese.

La conosciamo tutti quella sensazione: ad ogni tentativo di riforma si sbatte subito contro un muro, un muro che è fatto di funzionari, dirigenti, quadri, che sono spesso anche ottime persone, ma prigioniere di sistemi che meno fai e meno sbagli, di quel disgraziato modo di pensare che ci ricorda che l’importante è che non rischi chi deve firmare, e se non va avanti niente, pazienza.
Per superare questa totale sfiducia, questa mancanza di energia nelle cose, questo peso enorme che ognuno ha nello zaino quando prova a fare qualcosa, quel carico di fatica supplementare e di tasse in più che ci frena rendendo la corsa più difficile che altrove, voi davvero vedete che la risposta sia difendere il “volere del popolo” che non ha mai votato questa coalizione, questo governo, questi ministri, questo contratto?

Davvero vi sentite sovrani nelle mani del pur bravo Salvini, tattico fino al midollo (ma non vi stavano sul gozzo i politici e i loro tatticismi?) che resta tutt’uno con il suo assenteismo cosmico in Europa, con i suoi 15mila al mese da 15 anni almeno senza aver mai fatto nulla, con le sue sparate continue di anni contro il sud, alleato in modo a dir poco fantasioso con un Di Maio che è quinta essenza di quel sud come esperienza estetica (e direi poco poco altro, se nessuno si offende), davvero tutto questo vi regala così tanto la sensazione di essere “padroni del vostro destino”? Fatemi davvero capire: ci credete davvero che sia sempre colpa dei crucchi e dei neri, degli stranieri dell’est, ma anche dei francesi che stanno ad ovest, dei terroni e pure un pochino degli altoatesini che hanno votato la Boschi e si ostinano a mettere quei bei fiori sul balcone solo per provocarci?

Io invece non ne posso più di un paese per cui l’unica cosa importante, l’unica cosa che conta è che non sia mai colpa nostra. Un paese che ha ridotto l’essere “padroni del proprio destino” alla sola sensazione di poter scaricare le nostre piccole grandi carenze in una tragica insicurezza intrisa di quella sensazione di non potercela fare davvero da soli. Mi resta addosso sempre più la tristezza di quel costante ricordo tragico di aver quasi sempre cercato l’alleato forte, anche cambiandolo più volte nel mentre della battaglia o sostituendo il principale “nemico” di una campagna elettorale con il prossimo alleato, anche governando metà del paese con quello che stai scaricando e l’altro nel frattempo tratta persino con il terzo “nemico” ancora più “nemico”.
“Quello che non siamo e quello che non vogliamo” resta il verso che meglio di qualsiasi cosa rappresenta tutti noi, tutto questo Paese. E non è, dopo 100 anni e mutamenti immensi nella nostra società, un buon essere.

Credo che vada fatta una ulteriore precisazione: non sono antitaliano, anzi, sono consapevole, per la mia storia famigliare della fatica di trovare un posto per la propria anima in cui si parli la propria lingua (che continua a sembrarmi la Patria più alta), ma davvero ha ancora un senso un paradigma nazionale in questo mondo fatto di reti globali di realtà connesse tra loro da giganteschi hub, in cui le merci e le idee (che altro non sono che pezzi di mercati sofisticati) viaggiano alla velocità della luce, in questa realtà così dinamica, la cui complessità richiede infrastrutture ciclopiche per reggere le capacità di calcolo enormi che servono per valutare la quantità enorme di dati. Ha senso essere “padroni a casa nostra” in una realtà che sta riscrivendo completamente il paradigma dell’abitare e dei luoghi di lavoro? Oggi quasi nessuno nel mondo che funziona è “padrone” della propria casa o dei propri luoghi, oggi si affitta, si fanno leasing, permute, rent to buy con contratti sofisticati, si diversifica oramai da anni e anni il proprieties dalla gestione. È giusto è sbagliato? Non lo so, ma se si cammina per Berlino, per Barcelona, per Parigi o Colonia io mi sento a casa e vedo un corpus tutto sommato unito tra lo spazio urbano che ho attorno, lo sviluppo economico, il modo di vivere dei propri cittadini, che poi saranno di destra, di sinistra, più interessati al sociale o al privato.

Non mi sembra che chi governa Marsilia, Madrid, Lisbona o Copenaghen sia “cattivo” e ce l’abbia con noi, mi pare che, alcuni partendo più da destra, altri più da sinistra, stiano provando ad interpretare un momento di grande cambiamento del mondo. Ed oltre a non percepire che ce l’abbiano proprio con me o che siano così infinitamente più perfidi dei nostri governanti, mi sento a casa, da Europeo che pensa e sogna in italiano, nelle loro città, tratto affari con miei consimili che lavorano in quei luoghi e mi sento prontissimo a scambiare con loro impressioni sulla gestione del welfare, della sanità o l’educazione dei figli, per i quali sinceramente fatico a non vedere meglio nel loro futuro a Rotterdam o Anversa che in Basilicata.

Allora vi chiedo e ci chiedo a tutti noi: non si potrebbe davvero iniziare un percorso serio per immaginare delle strade diverse tra la proprietà (del proprio destino) e la gestione di esso?
Un qualcosa che mi pare abbastanza lecito possa rimettere in discussione molte cose, che vada abbastanza linearmente oltre gli Stati Nazionali ottocenteschi, oltre una logica che ci porta ad offenderci se non ci rispettano nello stesso modo mentre tifiamo contro la squadra della cittadina vicina in un derby senza fine, in cui se entrambe giocano in serie C mentre il Real Madrid vince in Europa giocando solo di prima, non importa. Perché rimaniamo sicuramente migliori noi e Cristiano Ronaldo ha solo la fortuna che uno dei ragazzi meravigliosi non sia stato scelto (con un click?) per giocare lui la finale di Champions.

 

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