Partiti e politici
M5S, ecco perché il tribunale di Napoli ha azzerato il vertice
Il tribunale di Napoli, accogliendo il ricorso di alcuni iscritti assistiti dall’avvocato Lorenzo Borrè, ha decapitato il M5S della propria guida, sospendendo in via cautelare le deliberazioni con le quali, su inizativa del leader oggi “deposto” veniva modificato lo statuto dell’associazione e quindi eletto presidente l’ex premier Giuseppe Conte.
Inizialmente, il giudice avanti al quale si era incardinato il giudizio, aveva respinto la domanda cautelare proposta dai ricorrenti (Steven Hutchinson, Liliana Coppola e Renato Delle Donne) ma, in seguito al reclamo degli interessati, il Tribunale in composizione collegiale ha capovolto la decisione del collega, sospendendo la delibera adottata lo scorso agosto con la quale era stato modificato lo statuto dell’associazione e la successiva elezione a presidente (carica che non esiste più) di Giuseppe Conte.
Su cosa si è basata la decisione del tribunale? In estrema sintesi, possiamo così riassumere i motivi della decisione: per modificare lo statuto era necessaria la partecipazione al voto di un quorum qualificato pari al 50% più uno degli iscritti e così non è stato. Secondo i dirigenti del M5S, tale quorum sarebbe stato regolarmente raggiunto avendo preso parte alla votazione assembleare circa 60mila iscritti su circa 113mila aventi diritto. Il tribunale, tuttavia, ha rilevato che erano stati illegittimamente esclusi dalla votazione più di 81mila iscritti da meno di sei mesi (per deliberare una tale esclusione erano previste delle specifiche procedure, non seguite nel caso di specie), per cui il totale sul quale calcolare il quorum era pari a circa 195mila iscritti, con la conseguenza che la votazione favorevole sulla modifica statutaria era da ritenersi nulla non essendo stata adottata con la partecipazione del 50% più uno degli iscritti.
All’invalidità della delibera di modifica dello statuto, consegue anche la successiva delibera del 5 agosto con la quale è stata adottata la nomina del presidente Giuseppe Conte.
Per effetto dell’ordinanza del Tribunale, devono ritenersi di nuovo in carica il garante Beppe Grillo e il capo politico Vito Crimi.
La decisione, comprensibilmente, apre uno scenario di grande incertezza sul futuro del M5S, particolarmente agitato in questo momento a causa dei contrasti tra il leader “detronizzato” Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, con possibili ripercussioni anche sulla stabilità della maggioranza di governo.
Dal punto di vista politico istituzionale, al di là delle logiche interne di partito, non si può non rilevare come sia preoccupante il fatto che il M5S, ancora una volta, dopo aver già vissuto nei suoi pochi anni di vita vicende giudiziarie estremamente travagliate (con espulsioni annullate, candidature ritirate, statuti e non-statuti più volte modificati e contestati), non riesca a uniformare le proprie decisioni al rispetto nelle norme del codice civile, nonché ai principi di democrazia interna che esso stesso si era dato.
E questo, se ci pensate bene, non è un problema del solo M5S ma della democrazia italiana in generale che non può permettersi di avere rappresentato in parlamento e al governo un grande partito (e, diciamola tutta, anche parecchi militanti, a giudicare dalle reazioni registrate sui social alla notizia) così insofferente alle regole del gioco democratico.
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