Partiti e politici
M5s: dalla protesta al governo del paese?
Max Panarari ci ha appena ricordato, sulle pagine di questo giornale, quali siano i confini ed i limiti di un movimento, come quello pentastellato, che fa della “iper-comunicazione” uno dei suo tratti caratteristici. Ma ha anche sottolineato, in chiusura, un elemento inedito che agita la base del Movimento 5 stelle, vale a dire la battaglia (sottotraccia) per l’autonomia e l’emancipazione dei leader “nativi 5 Stelle” nei confronti della diarchia Grillo-Casaleggio. Come testimonia il recente libro curato da Roberto Biorcio sugli “attivisti del movimento” (F.Angeli), c’è del vero in quanto sostiene Panarari. I pentastellati di base si trovano a volte in imbarazzo, nella loro azione sul territorio, di fronte ai comportamenti o alle comunicazioni provenienti dall’alto, dai due fondatori. Il credito che in più occasioni ottengono dai cittadini, per i loro interventi in loco, viene un poco eroso se i pronunciamenti di Grillo sono troppo apodittici. E rischiano di far diminuire il consenso nei confronti del movimento.
Perché alle ultime amministrative, come si sa, la quota di cittadini che ha scelto il M5s si è espansa significativamente, forse, grazie anche il “passo indietro” compiuto dai vertici del movimento stesso, che hanno lasciato in questa occasione più spazio al territorio ed ai loro attivisti. Le cose sono andate abbastanza bene, meglio del previsto comunque, grazie certo alle pessime performance dei partiti tradizionali, ma anche al buon impatto che hanno avuto le proposte provenienti dai candidati regionali o comunali. Il movimento si è consolidato in numerosi territori, vincendone anche qualcuno, a dispetto del presunto appeal unicamente nazionale, unendo alle consuete mozioni di protesta specifiche mozioni di proposta, ben valutate da molti elettori.
Il riflesso di questi successi si è riverberato anche a livello nazionale, dove le opzioni in favore dei 5 stelle sono molto cresciute nelle ultime settimane, fino ad insidiare da vicino la supremazia dello stesso Partito Democratico, in significativa crisi di consensi. Il distacco tra Pd e M5s, nelle intenzioni di voto, è ora molto ridimensionato, tra il 4% ed il 7% a seconda delle diverse indagini effettuate. Ed alcune simulazioni, con il sistema Italicum, ci parlano addirittura di un ballottaggio dove i due principali contendenti non sarebbero divisi se non da una percentuale irrisoria. Come dire: se si va al secondo turno, come è molto probabile, non è detto che il Pd ce la faccia.
Restano peraltro alcune remore degli elettori a votare M5s. Perché? Sostanzialmente per il motivo che la “classe dirigente” di quel movimento non appare ancora sufficientemente credibile a diventare classe di governo, dal momento che si trovano troppo in balia del comportamento dei due fondatori. Gli elettori non di parte si chiedono: ma in caso di vittoria a livello nazionale, possiamo essere sicuri che Grillo e Casaleggio non la facciano da padroni e prendano loro in mano le leve del comando? E’ certo vero che senza loro due, senza lo loro forte azione di contestazione, il M5s non esisterebbe, ma per poterlo far diventare un’opzione accettabile anche nelle proposte governative, meglio volti nuovi e più efficienti politicamente. Insomma: se crescono bene le seconde linee, il Pd avrà grosse difficoltà a vincere le prossime elezioni.
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