Partiti e politici
L’Unto (2). L’Opera (3) – Storia parziale del Movimento 5 stelle in 10 quadri
Proseguiamo con la pubblicazione di brevi estratti dal libro Snaturati – Dalla social-ecologia al populismo. Autobiografia non autorizzata del MoVimento 5 Stelle, 2019
1992 – Dall’Unto
Beppe mi diede appuntamento in un ristorante vicino al Teatro Smeraldo. L’Unto, lo chiamammo, perché ci portò peperoni arrostiti, annegati nell’olio.
Beppe è curioso. Mi chiese cosa facessi all’Università di Ulm, in Germania, e di raccontargli i miei seminari ecologici nelle scuole medie. Ne avevo appena registrato uno su un nastro. Eravamo soli, dall’Unto. Dopo il caffè cominciammo ad ascoltare l’audiocassetta. Mi interrompeva. Voleva sapere che oggetti mostravo agli scolari. Rideva. Aveva le stesse reazioni dei ragazzi dei miei seminari. Beppe è un ragazzo per sempre.
L’audiocassetta era una C60, durava un’ora. Impiegammo alcune ore ad ascoltarla. «Ferma, spiegami» diceva Beppe. Ci demmo del tu. Gli era piaciuta la mia storia dello spazzolino da denti con la testina cambiabile.
Lo usavo per spiegare che se fabbricassimo i prodotti in modo più intelligente, consumeremmo meno risorse e creeremmo meno rifiuti e inquinamenti. Beh, la soluzione è semplice, dicevo ai ragazzi, teniamo il manico. E cambiamo questa, la testina con la spazzola. La sera stessa questo divenne uno degli sketch più famosi di Beppe. Era semplice. Cambiare la testina. Per cambiare la testa.
1992 – L’opera sua e l’opera mia
Beppe cominciava lo spettacolo in fondo alla sala, solo, con la voce amplificata. Uno-due-tre, mi sentite? Entrava in platea da dietro. Mentre percorreva la sala verso il palco le teste e le spalle si giravano. Creava un’onda nel pubblico. Avvicinandosi al palco l’onda si gonfiava. Infine frangeva in un enorme applauso, prima ancora che avesse cominciato lo spettacolo. La serata era già guadagnata.
Il lavoro con Beppe mi introdusse nel mondo del teatro. Nemmeno immaginavo che avrei frequentato per tanti anni i camerini, le quinte, le platee e i foyer di tanti teatri. Con i miei documentari d’avventura avevo imparato un po’ di mestiere televisivo. Ma l’incontro con Beppe fu un’altra cosa. Fu come trovarmi dietro le quinte di un palcoscenico d’opera. Ma il palcoscenico era vuoto. E l’opera era lui.
L’opera mia era un’altra. All’Università di Ulm il mio costume di scena era il camice bianco. Lavoravo in un celebre dipartimento di chimica analitica ambientale dove studiavo la contaminazione chimica sulle più alte montagne e nelle regioni polari. Le mie parole non evaporavano dopo la mezzanotte come quelle nei teatri, ma restavano nelle biblioteche per decenni. Il mio palcoscenico erano le riviste scientifiche. La giuria era una manciata di scienziati che decidevano se pubblicare i miei lavori.
Il mio pubblico erano le migliaia di scienziati nel mondo che leggevano i miei articoli scientifici. Nel botteghino del mio teatro non si contavano i biglietti venduti, ma il numero di volte che i miei uguali citavano una mia pubblicazione. Come il resto della mia vita, anche il mio profilo di scienziato è anomalo: le mie pubblicazioni sono poche, ma le citazioni dei miei articoli sono tante.
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