Partiti e politici

Lombardia, terra ostile: perché la sinistra non vince (mai)

11 Novembre 2022

Nella primavera del 2023, i lombardi verranno chiamati a scegliere il nuovo Presidente della Regione. Una regione che ininterrottamente, dal 1995, cioè da quando c’è l’elezione diretta del presidente della Regione, è governata dal centrodestra. Caso unico, assieme al Veneto. Così come, ma con governi intinterrottamente di centrosinistra, sono sempre state dalla “stessa parte” Emilia Romagna e Toscana.
La nostra riflessione parte dai tempi del PDS – il 1995, appunto – e arriva al PD e a tutto il centrosinistra. In questi anni quest’ultimo non è riuscito ad elaborare un progetto per provare, quantomeno, a contendere credibilmente la regione alla destra. La domanda è in fondo semplice: perché il centrosinistra non è mai riuscito ad elaborare una strategia territoriale vincente, trovando il modo di parlare la lingua di questa regione, o almeno di capirla?
Per dare una risposta a questo quesito abbiamo chiesto il parere di alcune importanti personalità lombarde della politica, della cultura e del giornalismo, che ci aiuteranno ad analizzare e capire perché per la sinistra la Lombardia sembri inespugnabile.

Breve riassunto dei risultati elettorali delle elezioni regionali in Lombardia: una sconfitta permanente

Nel 1995 si tennero per la prima volta in Italia le elezioni regionali con la legge elettorale detta “Tatarellum”, ossia la legge che prende il nome da Giuseppe Tatarella, esponente della destra post-fascista e tra i padri nobili della svolta moderata e costituzionale di Gianfranco Fini, che fu ideata per imprimere una svolta in senso maggioritario e presidenziale al sistema di governo delle regioni.
Proprio da queste elezioni iniziò in Lombardia il lungo periodo (17 anni) della Presidenza Formigoni.
Formigoni fu eletto per la prima volta nel giugno 1995 con il 41,6% dei voti (un 27,6% dei votanti optò per Diego Masi de L’Ulivo, e il 17,1% votò per l’ex Ministro leghista Francesco Speroni).
La seconda vittoria avvenne nel 2000, quando conquistò il 62,4% dei voti, doppiando l’ex Segretario Nazionale della DC e del PPI Mino Martinazzoli.Nel 2005 Formigoni sconfisse Riccardo Sarfatti e venne riconfermato per la terza volta presidente della Lombardia con il 53,4% delle preferenze.
Alle regionali del 2010 venne eletto per la quarta volta, con il 56,11% delle preferenze, battendo Filippo Penati.
Nel 2013, dopo le note vicende giudiziarie che hanno coinvolto Roberto Formigoni, si assiste ad un cambio in Regione. Il 26 febbraio è eletto presidente Roberto Maroni con il 42,81% contro il 38,24% ottenuto da Umberto Ambrosoli. È questo il risultato migliore per il centrosinistra lombardo, che comunque resta ben al di sotto del 40%.
Il 26 marzo 2018 inizia invece la presidenza di Attilio Fontana, attualmente in carica e ricandidato per le prossime elezioni del 2023. Ha ottenuto l’elezione, cinque anni fa, con il 49,75% delle preferenze, circa venti punti percentuali in più rispetto al candidato di centrosinistra Giorgio Gori.
In attesa di vedere il voto per le regionali, possiamo notare che, alle elezioni politiche del 25 settembre del 2022, il centrodestra ha ottenuto circa il 50% dei consensi, il centrosinistra si è fermato al 27%, mentre il Terzo Polo di Calenda e Renzi, che sostiene la candidatura di Letizia Moratti, si è fermato al 10%.
Questa breve cronistoria mostra con chiarezza che in Lombardia il centrosinistra non è mai stato attrattivo e vincente. Perché?

Le voci autorevole di chi ha visto la sconfitta diventare un’abitudine

Abbiamo chiesto il contributi di alcune importanti personalità che vedono da vicino, e da molti anni, la politica lombarda.

Il primo è Giuseppe Civati, noto a tutti comde Pippo. Politico, una Laurea in Filosofia e un Dottorato di Ricerca, docente ed esperto di filosofia rinascimentale, saggista ed editore (fondatore di People, casa editrice e agenzia di comunicazione), fondatore e primo segretario del movimento “Possibile”, nato nel 2015 dopo l’abbandono del PD, partito in cui aveva militato sin dalla fondazione in quanto iscritto al PDS prima e ai DS poi. Deputato dal 2013 al 2018,  grande conoscitore del mondo politico lombardo in quanto già consigliere comunale a Monza e già consigliere regionale della Lombardia nel pieno degli anni formigoniani.
civati lascia il pd

La seconda analisi arriva da Paola Bocci. Laureata in architettura e diplomata alla Civica Scuola di Cinema. Esperta di progettazione edilizia e di ricerca nel campo dell’umanizzazione degli spazi pubblici. Docente della Facoltà di Design del Politecnico di Milano, ma anche attiva nel campo dell’audiovisivo in film e documentari. Consigliera Comunale a Milano per il PD e successivamente Consigliera Regionale. Vicepresidente del dipartimento Cultura Sport e Politiche Giovanili di ANCI Lombardia e componente della Commissione Nazionale ANCI Cultura. Si occupa, tra le altre cose, di Cultura, Istruzione, Ambiente, Pari Opportunità e Infanzia.

Il terzo punto di vista è di Aldo Bonomi. Sociologo, dal 1986 fonda e dirige il consorzio AASTER. Professore a contratto allo IULM con il corso “Società, territorio e globalizzazione”, nell’ambito del progetto Ateneo per la città. Scrive su diverse testate nazionali: Vita, Manifesto, Corriere della Sera. Su “Il Sole-24 Ore” cura la rubrica “microcosmi”. È responsabile della collana “Comunità concrete” per la casa editrice Derive Approdi e ha fondato e diretto il periodico “Communitas”. Bonomi è stato tra i primi a cogliere il mutamento antropologico del Nord, a intuire la traiettoria che avrebbe portato molte persone che avevano sempre votato a sinistra a guardare altrove, per esempio alla Lega.

Giuseppe Civati

“In Lombardia non c’è stata alternanza tra centrodestra e centrosinistra. Il centrodestra è rimasto sempre al governo della Regione così come in Toscana e in Emilia Romagna è successo al centrosinistra. In queste regioni raramente c’è stata una occasione in cui le elezioni fossero davvero contendibili.
Il caso di Letizia Moratti fa pensare che possa esserci una novità proprio perché si dividerebbe il fronte della destra. Questo è l’unico elemento sul piano aritmetico che consente di sperare in qualcosa di buono per la sinistra.
La sinistra deve ammettere però che non c’è mai stato un grande investimento nazionale da nessun punto di vista sulle politiche regionali lombarde e c’è sempre stata una ricerca di candidature esterne alla politica diretta.
Non c’è mai stato un progetto proprio di rivisitazione della società lombarda, costruito su uno schema politico prima che elettorale. La sinistra è sempre stata poca ambiziosa e ha dato l’impressione di partire sempre sconfitta. Una sensazione molto presente anche quando io ero più impegnato direttamente, che impediva lo sviluppo di una strategia di lungo periodo, più strutturata, più consapevole, ma anche più chiara, perché spesso il centrosinistra in Lombardia è apparso poco riconoscibile. Durante la Presidenza di Formigoni il gioco era condotto da lui e non si toccava palla anche perché tutti i leaders nazionali del centrodestra erano lombardi. Quando Formigoni dovette lasciare noi avremmo dovuto approfittarne con molto maggior vigore, aprendo una stagione diversa in aperta critica al modello formigoniano finito malissimo. Possiamo dire che il passaggio fondamentale è stato l’elezione del 2013: quella sconfitta è stata una grande occasione persa.
Esiste poi una grande incapacità da parte della politica romana di capire la realtà lombarda. In generale nel Nord il centrosinistra ha sempre fatto fatica (a eccezione delle grandi città) anche perché, soprattutto in Lombardia e Veneto, la parte storicamente democristiana è rimasta quasi tutta appannaggio della destra.
Mi auguravo già da prima, ma adesso a maggior ragione, uno schema politico costruito per affrontare un modello iper maggioritario come quello della Regione. Vince solo chi prende un voto in più. Bisogna quindi costruire un’alleanza più larga e strategica possibile dove si possa avere un minimo di agibilità politica a tutela delle varie istanze. Io lo sostenevo anche per le elezioni politiche nazionali, dove talmente era grande il pericolo fascista che alla fine li abbiamo fatti vincere!
Per quanto riguarda Moratti bisogna dire che non si tratterebbe di una coalizione larga di centrosinistra, ma di una coalizione che prende anche parte di quella destra rappresentativa del ventennio berlusconiano.
Esiste quindi un punto di equilibrio, un massimo possibile da raggiungere.
La domanda che dobbiamo porci è cosa vuole fare il centrosinistra in Lombardia. Una volta capito questo, si può ragionare sui nomi e non viceversa. Prima della ciliegina bisogna avere la torta!
Sarebbe molto difficile allearsi con i Renzi e Calenda di quest’estate, quelli che flirtano con il mondo berlusconiano. Sarebbe però un’occasione ghiotta per tutte le forze progressiste allearsi (smettendola di enfatizzare le differenze) e approfittare della spaccatura della destra in quanto forse per una volta il “Terzo Polo” potrebbe far perdere la destra e non la sinistra. Bisogna essere abili e giocare in contropiede, ma è importante costruire un progetto per i prossimi dieci anni e non solo un programma elettorale.
Ci vorrebbe poi anche un po’ più di generosità da parte del PD nel riconoscere il valore di forze in espansione, come Possibile e i Verdi, nonostante la tragica situazione in cui versa la sinistra in Italia.
Bisognerebbe parlare anche dell’autonomia e da Roma dovrebbero capire maggiormente le necessità e la realtà della più grossa regione italiana.
Finalmente le elezioni regionali non saranno offuscate da quelle politiche e anche questo può aiutare a ridare centralità e visibilità a diverse questioni. Non possiamo però affidarci ad un voto di protesta verso il governo, non funziona così e comunque sarebbe troppo presto. Anche considerando il periodo negativo per la Lega e per alcuni esponenti e partiti di centrodestra storicamente legati alla Lombardia (Meloni non è certo espressione del Nord), la domanda principale rimane questa: cosa vuole fare il centrosinistra in Lombardia? Qualcuno dovrà pur dircelo.

Paola Bocci

Da ex consigliera comunale di Milano posso dire che uno dei grandi temi è quello di “togliersi il vestito da cittadini di grandi città” e guardare alla Lombardia come a una somma di tanta e tanta provincia. Non parlo solo delle valli, ma anche dei comuni di cintura e dei territori più marginali e meno urbanizzati. Sicuramente in quei territori è più facile la penetrazione del messaggio semplice della destra. Si tratta infatti di un messaggio di stampo più individuale che collettivo: meno tasse, meno immigrazione e più difesa dei valori cosiddetti tradizionali (ad esempio la famiglia tradizionale).
Poi c’è il grande nodo delle alleanze e di riuscire a connettere tutte le forze progressiste intorno a un progetto e ad una visione comune, che in questo momento non può che essere radicale oltre che radicata nei territori.
Radicale anche perché non potrebbe essere altrimenti vista la candidatura di Letizia Moratti, che sicuramente guarda al centro, ma che non può sconfessare le sue origini di centro destra. Sono quindi presenti in campo le candidature di Attilio Fontana, che rappresenta la Lega e Fratelli d’Italia, e quella di Letizia Moratti, sicuramente più moderata, ma che io iscrivo comunque al campo della destra.
Credo quindi che noi dobbiamo avere più coraggio e presentare non solo una candidatura, ma anche un programma più radicale. Il nostro programma dovrà parlare di salute pubblica, trasporto pubblico, accesso al diritto allo studio uguale per tutti, centralità del lavoro, contrasto ai divari e alle diseguaglianze in ambito del lavoro e alle disparità salariali e alle disuguaglianze generazionali e di genere sempre nel campo del lavoro. In una parola abbiamo bisogno di un programma e di una candidatura decisamente differente, e non ci dobbiamo accontentare di fare meglio di quello che ha fatto in questi vent’anni il governo della regione di centrodestra.
Dobbiamo, insomma, proprio essere differenti e alternativi.

Aldo Bonomi

Per capire perché la sinistra non abbia avuto successo in Lombardia dobbiamo fare un ragionamento che parte da questa premessa: la sinistra non ha saputo seguire l’evoluzione della composizione tecnica del capitale, del modello produttivo e delle economie. Non ha saputo inoltre stare dentro la scomposizione e ricomposizione della composizione sociale.
Esistono due percorsi di analisi.
Il primo è quello legato al fatto che la sinistra non ha saputo seguire e accompagnare le quattro Lombardie, il secondo percorso ci porta ad analizzare il fallimento nel non riuscire a tenere assieme la scomposizione sociale e territoriale dell’urbano regionale.
Parlando delle quattro Lombardie ci riferiamo ai cambiamenti che negli ultimi 20 anni hanno riguardato la metamorfosi della regione e delle sue zone.
La prima zona è quella che io chiamo il distretto alpino, che va dall’Alto Varesotto all’Alto Comasco e alla Valtellina fino all’alta Valcamonica. In questo distretto abbiamo problematiche di grande innovazione in quanto sono presenti le componenti “acqua”, “aria”, “suolo” e “verde” che sono centrali per la questione ambientale. In questo territorio è avvenuto anche un processo di grande cambiamento, basti pensare alla crisi e alla transizione dell’industria della neve e del turismo.
La seconda zona a cui faccio riferimento è la Pedemontana lombarda, ossia quell’asse che va dall’aeroporto di Malpensa all’aeroporto di Montichiari, passando per l’aeroporto di Bergamo. Non a caso ho citato due autonomie funzionali e due nodi della logistica e dei trasporti, ma non dimentichiamo
che ci sono anche migliaia di imprese. Qui è avvenuto il massimo dei cambiamenti nella manifattura, nei distretti produttivi e nel capitalismo molecolare.
Il terzo grande cambiamento ha riguardato la dimensione metropolitana e il territorio di Milano e dei suoi centri. Forse qui la sinistra ha interpretato meglio.
L’ultimo grande cambiamento riguarda quel territorio che va da Lodi a Piacenza. In questa zona parte il nodo della logistica e quell’asse che la Pianura Padana rappresenta per l’agricoltura.
Questa potente metamorfosi delle quattro Lombardie si è verificata per fattori economici, ambientali, sociologici e culturali.
Parliamo infine dell’Urbano regionale. La sinistra avrebbe dovuto tessere e ritessere la dimensione della composizione sociale e avrebbe dovuto occuparsi dei “comuni polvere”, o micro-comuni, dove erano presenti processi di stagnamento e di cambiamento che andavano raccontati e accompagnati.
Andavano accompagnate anche altre quattro realtà: le città distretto che sono cambiate (ad esempio il distretto del mobile), le città medie (per esempio Varese, Lecco, Bergamo e Brescia), e infine l’area di Milano.
Credo sia mancata la capacità di raccontare e accompagnare queste cinque tipologie, concentrandosi solo su Milano e in parte sulle città medie.
In conclusione la sinistra non ha saputo tenere assieme il rapporto complesso, ma direi simbiotico, tra margine e centro, ma anche tra città e contado.
Concludo con la massima braudeliana: “Non c’è città ricca senza campagna florida, e non c’è campagna florida senza città ricca”.
Questo è il problema della regione Lombardia.

Conclusioni (in compagnia di Marco Alfieri e Michele Serra)

Per delineare delle conclusioni a questo tema abbiamo chiesto una mano a Marco Alfieri.
Alfieri è caporedattore del Sole 24 Ore, ma soprattutto autore di un libro fondamentale sull’argomento che abbiamo trattato:  “Nord terra ostile. Perché la sinistra non vince” (Marsilio, 2008). Quindici anni dopo, gli elementi di quella fotografia sono ancora qui, in mezzo alla scena, tanto che ci siamo permessi di “rubargli” il titolo di questa analisi.
La sintesi della questione è che l’idea di sentirsi sempre i migliori e nel giusto non attecchisce, non può attecchire, in una terra pratica, veloce, pragmatica e concreta come la Lombardia, fuori dalle mura spagnole di Milano. Per Alfieri Il tema centrale è questo.
Chiudiamo però con un suggerimento di lettura dello stesso Alfieri e che coinvolge il giornalista e scrittore Michele Serra. Un editoriale con cui Serra, ironicamente ma non troppo, descrive la sinistra (non solo quella lombarda) e anche la destra.
Nella puntata del 09 ottobre 2022 del programma di Fabio Fazio “Che Tempo Che Fa” su Rai3, Serra presenta un monologo intitolato: “Nella mia prossima vita voglio rinascere di destra”. Eccone la trascrizione:

“Nella mia prossima vita voglio rinascere di destra.
Non perché la destra abbia vinto, non fatemi così meschino. Oggi si vince, domani si perde, non è questo che conta, nella vita. Quello che conta, nella vita, è come si vive.
E la vita, a sinistra, è troppo complicata. Come se la semplicità fosse un vizio.
C’è questa mania della complessità, del dibattito, dell’approfondimento. Mai niente che ci vada bene. Tutto è sempre da ridiscutere. Bisogna sempre rifare l’analisi. Ha fatto più analisi la sinistra che un reparto di lungodegenti. Ma non sembra che la sua salute ne abbia tratto vantaggio, forse se avesse fatto meno analisi e una passeggiata ogni tanto, starebbe molto meglio.
E poi a sinistra si parla sempre, si parla troppo, si parla a dismisura. È un’assemblea lunga quasi due secoli e mezzo, convocata a Parigi verso la fine del Settecento. L’assemblea è ancora in corso. Con rare pause per rifocillarsi, andare in bagno e magari approfittarne per fare una scissione.
Le scissioni sono l’unico momento eccitante, ci si accapiglia, si esce sbattendo la porta, dev’essere per questo che ne fanno così tante: è anche un modo per uscire a prendere una boccata d’aria.
Di solito le assemblee arrivano alle conclusioni. Non è il nostro caso. Se guardate per terra vedrete migliaia, milioni di fogli di carta appallottolati.
Sono le conclusioni fin qui bocciate dall’assemblea.
La vita, a destra, è più semplice. Più spensierata. Intanto la politica non è così importante. C’è anche altro da fare, nella vita. E poi, soprattutto, ci si accontenta di quello che c’è. Ce lo si fa andare bene. Ci sono le elezioni? Benissimo, si fa l’appello dei presenti, chi c’è c’è, li si raccoglie tutti insieme in un grosso involto, e voilà.
Non è che siano incoscienti, a destra: lo sanno benissimo anche loro, che si potrebbe fare di meglio. Solo che preferiscono non passare il tempo rompersi la testa su come potrebbe essere il mondo, se il mondo non fosse com’è. Difficilmente troverete, nella nota-spese di un politico di destra, il conto dello psicoanalista.Questo umore più leggero, davvero invidiabile, tocca il suo apice il giorno delle elezioni. L’elettore di sinistra è di pessimo umore. E quello non lo voto perché è troppo moderato, e quello non lo voto perché è troppo radicale, e quell’altro non lo voto perché è contro i miei princìpi.
A destra, non fanno tutte queste storie. Chi è il capolista, nel mio collegio? Gengis Khan? Chi, quello dell’orda d’oro? Sì, ma è stato molto tempo fa, è cambiato. Ah beh, allora, se è cambiato, non c’è problema. Gengis Khan.
Si vive più sereni. Se rinasco, voglio rinascere di destra.
Ho notato recentemente che nei discorsi della signora Meloni spesso ricorre la parola responsabilità, faccia molto attenzione perché è un attimo diventare di sinistra”.

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