Partiti e politici

Lo sbilanciamento dei poteri nella riforma

25 Novembre 2016

Negli ultimi giorni la propaganda del premier ci parla principalmente di riduzione dei costi della politica in una imbarazzante rincorsa all’anticasta ma invero uno degli obiettivi nobili della riforma sarebbe quello di aumentare la stabilità dei governi. È patrimonio comune la consapevolezza che la durata dei governi nel nostro paese è prossima a quella della soddisfazione di una donna per l’ultimo paio di scarpe acquistate. La durata media di un governo dal dopoguerra ad oggi è infatti di 1,2 anni (due stagioni in gergo fashion).

Ci sono molte ragioni per ambire a governi meno temporanei tra le quali la speranza di un’attuazione di politiche di lungo respiro e non dettate da contingenze elettorali sempre dietro l’angolo.

Uno degli strumenti possibili era quello di introdurre nel nostro sistema la sfiducia costruttiva presente ad esempio in Germania (che ha una durata media dei governi che è più del doppio della nostra). Si è scelto invece di togliere il voto di fiducia ad una delle due camere e contestualmente si è introdotto un canale privilegiato per l’iniziativa legislativa del governo (il “voto a data certa” dell’art. 72). I riformatori hanno eliminato quindi un potenziale veto player e hanno consegnato uno strumento in più all’esecutivo.

È opinione abbastanza unanime che se de jure rimaniamo una repubblica parlamentare de facto ci sposteremmo un po’ verso un sistema con maggior peso dell’esecutivo (alcuni dicono “come” un premierato forte, ma i nomi poco importano). Questo di per sé non è positivo o negativo a priori. Nella letteratura di political science e di political economy si discute da decenni sui pregi e i difetti dei due principali sistemi costituzionali: il parlamentare e il presidenziale (e di conseguenza di tutte le forme ibride intermedie). Non esiste risposta univoca, dipende dalla definizione di “migliore” che utilizziamo ed ovviamente entrano in campo anche giudizi valoriali di cui è difficile fare una classifica.

Quello che però è certo è che i sistemi parlamentari e presidenziali nascono con delle caratteristiche ben definite che servono a bilanciare i poteri in ciascun quadro istituzionale. Caratteristica fondamentale dei sistemi parlamentari è la presenza del voto di fiducia (il “confidence vote”) che permette all’esecutivo di nascere in parlamento e permette al parlamento di interrompere l’attività dell’esecutivo. Noi italiani questo lo sappiamo molto bene, di voti di fiducia negli ultimi anni ne abbiamo osservati parecchi e su leggi molto importanti.

Nei sistemi presidenziali invece le legislature hanno durata fissa, ovvero si arriva sempre alla scadenza, per poter svincolare il parlamento dall’esecutivo; per renderlo più autonomo di fronte all’iniziativa legislativa dell’esecutivo (presidente o premier). Quanti di quei voti di fiducia che il governo ha richiesto al parlamento avrebbero avuto esito diverso se i nostri parlamentari non avessero temuto una fine anticipata della legislatura?

Ora, come detto sopra, noi con questa riforma non ci trasformeremmo in una repubblica presidenziale però è indubbio che si sposterebbe un po’ di potere verso l’esecutivo, verso il governo. Quindi lungi dall’essere necessario avere legislature a durata fissa forse sarebbe stato auspicabile aumentare e non diminuire l’autonomia e indipendenza del parlamento dall’esecutivo.

Si è invece approvata una legge elettorale, l’Italicum, che grazie ai capilista bloccati e al premio di maggioranza sarà legata a doppio filo (d’acciaio direi) con il governo. Vi immaginate la maggioranza costituita da un solo partito che vota contro al suo premier/segretario, al proprio governo, e rischiare delle elezioni anticipate quando le liste elettorali sono nelle mani dei vertici del partito? Io onestamente faccio fatica.

Quindi oltre i problemi di funzionamento che ho già  evidenziato io vedo un grosso problema nello spirito che sottende a questa riforma, che non è lo spostamento del baricentro dell’iniziativa legislativa ma è lo sbilanciamento dei poteri che ne scaturirebbe. La legge elettorale non è oggetto diretto del referendum del 4 dicembre, ma è strettamente legata alla riforma e penso che l’unico modo per ottenerne modifica sia rigettare la riforma.

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