Partiti e politici

L’Italia ricca, bella e potente porterà fortuna al referendum di Renzi?

22 Novembre 2016

Da Giorgio Napolitano, che di questa riforma e di questo percorso è un po’ più che un semplice tifoso, a Ilaria D’Amico: la coalizione di vip per il Sì ha tutte le sfumature e i gusti, tutti i colori e tutti i toni. A chiudere il cerchio, un pugno di giorni fa, è arrivato anche l’ingegner De Benedetti: sofferto e meditato, ha annunciato anche il suo sì. Il risultato del referendum del 4 dicembre, che piaccia o no, sarà anche una sentenza senza appello sulla capacità delle élite italiane di influenzare il popolo italiano. O di coglierne gli umori profondi. In generale, lungo la storia italiana, la maggioranza silenziosa, il mitologico paese reale – piccolo borghese o proletario che fosse – non è mai andato a braccetto con le minoranze elitarie visibili, con le classi dirigenti più o meno rumorose.

Se nella prima repubblica però c’erano i partiti, la guerra fredda, la Chiesa e le chiese politiche, gli interessi del capitale e quelli dei lavoratori, ed esistevano insomma le camere di compensazione, è dalla seconda in poi che il meccanismo salta per aria. Dalla famosa, indimenticata, discesa in campo di Silvio. Fiumi di appelli, intellettuali e attori con il cipiglio deciso di quelli che mai e poi mai avrebbero lasciato passare il barbaro alleato di quel buzzurro di Bossi e a quel fascista di Fini. E se mai fosse successo, avrebbero lasciato il paese. Lui infine passò ben tre volte su cinque tentativi, e il paese non lo lasciò nessuno dei minaccianti.

Ci scoprimmo, con lui, una volta di più, avamposto di quel che succede nel mondo. Con le élite che vanno da una parte e il resto del corpaccione che va dall’altra. Brexit e Trump sono sono gli ultimi sinonimi di quel che che abbiamo imparato a sapere, da ultimo, alle elezioni del 2013: coi giornaloni e quelli che lo volevano diventare che guardavano alla stella di Monti, con un presidente della Repubblica – sempre Napolitano – che non aveva sentito nessun boom, e il botto lo fecero altre stelle, le cinque di Grillo.

E adesso? L’accozzaglia del no l’ha battezzata Renzi. Quella del sì, effettivamente, è una schiera elegante, che ti querela solo se lo pensi, di chiamarla accozzaglia. Da Bocelli a Carla Fracci e Roberto Bolle, da Giulia Maria Mozzoni Crespi a tutto, davvero tutto, il Gotha della finanza milanese. Vuoi perché sennò il paese è immobile, vuoi che sennò i mercati ci assalgono. Unica stecca all’altezza nel cuore del coro, il professor Mario Monti, proprio lui, che delle élite era stato così il paladino da guidare, con la sua Scelta Civica, una lista che nel paese era stato ben sotto il 10 per cento, ma nel centro di Milano aveva sfiorato il 25 per cento. E insomma, l’uno per cento dei ricchi potenti e in vista sta tutto con la riforma, e il 99 per cento degli altri?

Noi, appassionati ai dettagli, aspettiamo anche per questo. Per capire se sarà la regola delle élite, rafforzata dalle sconfitte quasi obbligate di chi governa di questi tempi, a regalare all’accozzaglia la vittoria. O se invece, sibila qualcuno, un paese codino e conformista decreterà la vittoria di Renzi. È il bello della democrazia, dopo tutto, che uno vale uno: e non è un modo di dire, ma un modo di fare. Se il fronte del sì perderà sarà facile dire che ha pagato un trend nazionale e globale. Se invece vincerà – prepariamoci – è già pronto uno slogan degli umili: “Abbiamo cambiato verso alla storia”

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