Partiti e politici
L’Italia dei fascistelli intellettuali: un giorno, promesso, voteranno solo loro
In ogni società libera e consapevole, l’espressione del voto popolare ha sempre una sua perfezione stilistica. Perfezione che comprende e mette nel conto tutti i disordini possibili, quelli personali e quelli collettivi, quelli contingenti e quelli storici. I disordini possono persino determinare risultati inediti e clamorosi, rispetto a quel che logica imporrebbe o consiglierebbe. Dunque si vota spesso per via emozionale, sedimentando poco, approfondendo neppure il giusto, liberando gli istinti più “bassi”. In queste righe iniziali abbiamo rappresentato l’elettore sporco e cattivo, quello che generalmente viene additato come il colpevole d’ogni regressione storico-politica. È del tutto inutile tratteggiare qui anche l’«altro» elettore, quello da volumetto di educazione civica, molto informato, culturalmente edotto, che approfondisce le cose, che ne discute con amici e colleghi e che s’avvia al seggio elettorale con la piena consapevolezza di sè e della situazione su cui dovrà esprimere il suo inappellabile giudizio. L’unione di questi due elettori e di molti altri dalle anime e dalle sfumature diverse, forma quella perfezione che è poi il cuore della democrazia partecipativa. E che fonda le sue radici su un assunto chiaro e ineludibile: la sofferenza personale di ognuno di noi nei confronti di forme diverse di partecipazione o, perchè no, di non partecipazione elettorale è proprio la parte virtuosa di questo processo sociale, è la nostra capacità di volare alto rispetto a ciò che considererremmo troppo basso e non al nostro esimio livello. E che ogni voto “buono” non si annulla certo in un voto “cattivo”, e così il contrario, ma semmai si aggiunge, ne aumenta le sfumature, compone la tavolozza da cui il dipinto finale. I poveracci valgono i signori, gli incolti faranno pari con i sapientoni illuminati, i volgaroni avranno lo stesso peso dei lord.
È abbastanza chiaro che in tempo di diseguaglianze sociali, i primi potranno rivalersi elettoralmente sui secondi fino a determinare esiti non così scontati.
È già da qualche anno che questa insofferenza per un principio base della democrazia ha assunto tratti patologici. L’idea cioè che il nostro voto valga di più, che debba pesare di più rispetto ad altri voti “balordi”. E che quindi sia necessario mettere rimedio a una situazione che non avrebbe più alcuna parentela con il concetto di democrazia. La questione è rimasta sempre sottotraccia, perennemente esposta da benpensanti di varia metratura, ai quali ogni cambiamento di impianto sociale rispetto ai loro mondi di riferimento, appare come una inevitabile deriva populista. Ma certo, ci voleva l’incidente planetario perchè questa diffusa considerazione potesse assumere forma compiuta e l’incidente “finalmente” è arrivato. Un incidente di portata enorme come la Brexit, che si è abbattuto come un uragano su tutte le società organizzate, non solo su quella degli inglesi. Ognuno ha potuto toccare con mano un cambiamento, immediato, materiale, concreto. doloroso. Chi aveva interessi in borsa, ad esempio, chi affari proprio nell’UK, chi figli da immaginare londinesi nei prossimi anni, e molte altre categorie, insomma un ventaglio davvero ragguardevole di individui.
Il tappo è saltato perché l’uscita degli inglesi dall’Europa ha toccato interessi veri, ci ha messo le mani nelle tasche, ci ha forse privato di quel che troppo ingenuamente avevamo già considerato diritti acquisiti. E allora il dibattito da strisciante che era, sotterraneo, quasi vergognevole, è venuto in superficie. Si è palesato, ha dato forma compiuta alla sua indignazione, si è scagliato contro quel che considerava un rovesciamento inaccettabile e cioè che le categorie “peggiori” avessero potuto decidere per le “migliori”. Si è dato stura a una contrapposizione infame tra generazioni, alimentando su numeri fasulli il rancore dei vecchi per i giovani. Un rancore che non esisteva non solo per via sociale, ma neppure per via matematica (ma intanto gli editoriali dei grandi giornali erano già partiti).
Si è formalizzato dunque il Progetto: portare il corpo elettorale a una benefica selezione della specie, immaginando di lavorare su due possibili direttrici: quella puramente anagrafica, abbattendo alla radice la possibilità del voto agli over 65, o l’altra, più sofistica e intellettuale, partendo dal titolo di studio, nel caso nostro almeno la maturità, se non proprio la laurea. Con la convinzione, davvero ingenua e particolarmente fascista, che con una simile scrematura si arriverebbe sempre e comunque al “miglior risultato possibile”. Il più virtuoso, quello che fa certamente bene al Paese, che gli consente un sano equilibrio e non lo espone al vento dei pazzi. Sarebbe affascinante, davvero, assecondare almeno una volta il progetto di questi fascistelli intellettuali che amano stare tra loro e tra loro determinare i destini di tutti. Sarebbe affascinante sì, per capire che in breve tempo si riproporrebbero esattamente le dinamiche a cui si sono fieramente opposti.
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