Partiti e politici
L’infausto destino del Pd
Qualsiasi cosa faccia, sbaglia, in un senso o nell’altro: questo è l’infelice destino del Partito Democratico, alle prese da una parte con i problemi del paese e, dall’altra, con i propri problemi interni. Ecco perché. Le difficoltà, che paiono a volte insormontabili, nella costruzione di un governo che abbia un senso prospettico, non limitato cioè ad una mera breve sopravvivenza, passano attraverso un arduo percorso di accordo tra i due vincitori delle elezioni: M5s e Lega.
Un accordo che, sebbene a volte sembri possibile, non converrebbe a nessuna delle due parti. Entrambe le forze politiche avrebbero infatti maggior interesse a replicare, nel giro di qualche mese, una competizione elettorale che, se cambiasse la legge con l’introduzione di un premio di maggioranza, li vedrebbe in pole-position per vincere le elezioni ed essere in grado di governare senza aiuti esterni. Un governo M5s-Lega, oltre a risultare incerto sul programma comune che dovrebbero adottare, salvo poche riforme su cui si trovano d’accordo, avrebbe un effetto negativo quasi sicuro su una fetta considerevole del loro elettorato.
Quello pentastellato perché dovrebbe sopportare, dopo tanti proclami di autonomia, la coabitazione con un partito non molto gradito da alcune delle sue anime originarie; quello leghista perché, dopo aver primeggiato nell’area di centro-destra sradicando l’egemonia di Berlusconi, si vedrebbe relegato in una posizione di supporto, di sparring-partner, subalterna ai più numerosi parlamentari del Movimento 5 stelle.
Se un governo di questo tipo è dunque di difficile realizzazione, l’unica alternativa che rimane al Presidente Mattarella potrebbe essere quella di chiedere aiuto al Pd, nella formazione di un esecutivo credibile per il paese. Pur con il valore aggiunto di dimostrare un alto senso di responsabilità, nei confronti dell’Italia, la richiesta comporterebbe alla fine un destino esiziale per lo stesso Partito Democratico.
Se accettasse, si troverebbe nella medesima posizione della Lega, in una situazione cioè di chiara subalternità rispetto ai 5 stelle, che avrebbero buon gioco nell’indicare nel Pd, qualora non fosse d’accordo con determinate scelte legislative, il partito che non permette il rinnovamento tanto promesso e auspicato. Diventerebbe una sorta di capro espiatorio di tutto ciò che non funziona, senza avere molte possibilità di azioni di governo autonome.
Se non accettasse, verrebbe additato dagli stessi pentastellati e da buona parte dell’opinione pubblica come quella forza politica che non ha a cuore i destini del paese, in un momento in cui la formazione di un esecutivo appare cruciale per molti aspetti economici e occupazionali, oltre che nei rapporti con l’Europa. E se infine si andasse incontro a nuove elezioni entro qualche mese, vista l’impossibilità di formare un governo stabile, i consensi per il Pd molto probabilmente diminuirebbero ancora, non avendo avuto il tempo necessario per una sua rifondazione, dopo la delusione provocata nell’elettorato italiano dalla gestione Renzi.
Un destino amaro, per l’ultimo partito. Senza via d’uscita.
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