Partiti e politici
L’inarrestabile declino di Beppe Grillo
Riportate le lancette dell’orologio indietro di due anni e pensate a Beppe Grillo. Ricordate? Tutto il mondo mediatico-politico era in perenne fibrillazione per ogni sua esternazione; i siti web facevano a gara per rilanciare il prima possibile i suoi post sul blog, attorno al Movimento 5 Stelle si registrava quasi un clima di isteria collettiva, il misterioso Gianroberto Casaleggio era oggetto di fantasiose teorie cospirazioniste, le televisioni inseguivano vanamente un’intervista con Beppe Grillo, che continuando a sottrarsi alimentava la loro bramosia.
Poi ci sono state le elezioni, la “non-vittoria” del Pd di Bersani e le trattative condotte in diretta streaming tra l’allora segretario del Pd e i due primi capigruppo Vito Crimi e Roberta Lombardi, che trattarono Bersani come un poveretto quasi da schifare. In quel momento, l’attenzione sul Movimento 5 Stelle era al culmine: a chi interessavano le misure del governo Letta se c’erano da seguire i primi processi interni al M5S con tanto di espulsioni? A chi interessavano i provvedimenti economici se si poteva assistere a un nuovo scontro tra “dissidenti” e “talebani”? Perché andare a una conferenza stampa del Consiglio dei ministri se si può inseguire il pullman che porta i parlamentari pentastellati in una località segreta a incontrare il loro leader?
Quello che pochi avevano capito, era che quel momento di massimo splendore, di massima popolarità, di consenso elevatissimo e di quasi fanatismo da parte dei sostenitori sarebbe rimasto (a meno di sorprese difficilmente immaginabili) il momento più elevato della storia politica del Movimento 5 Stelle. Quel clima di isteria è andato gradualmente scemando, tornando a rinvigorirsi solo in seguito ad alcune estemporanee iniziative di Grillo (per esempio i primi casi di “schedatura” dei vari “giornalisti del giorno”) o come nel caso delle elezioni europee, quando i sondaggisti sembravano dare veramente credito alla possibilità del sorpasso sul Pd (com’è andata a finire, lo sappiamo bene).
Un anno e mezzo del M5S in Parlamento, di cui si ricordano soprattutto gaffe, giravolte continue (“trattiamo, non trattiamo”), liti fino ad arrivare quasi al contatto fisico, alleanze europee con gruppi di estrema destra. E soprattutto proteste in Parlamento sempre più estreme nel tentativo di mantenere alto l’interesse attorno al M5S. Per forza, nel momento in cui ci si autoesclude dalle trattative politiche non c’è alcuna possibilità di incidere veramente nel lavoro parlamentare e non resta altro che urlare sperando che il volume sia sufficiente a fare arrivare ai sostenitori la tua voce.
Ma il tempo passa, implacabile. L’entusiasmo scema. E tutto si normalizza, compresa l’eccezionalità del Movimento 5 Stelle. Ragion per cui faceva quasi tenerezza Paola Taverna a Tor Sapienza, con gli occhi sgranati dall’incredulità di sentirsi dare della “politica”. Lo scambio riassume meglio di tante analisi: “Non mi può dare della politica, non sono una politica!”. “E perché il Movimento 5 Stelle non è un partito? Cos’è, la Caritas?”.
Eh già, il Movimento 5 Stelle ci ha provato in tutti i modi a non farsi accomunare agli altri partiti. Ma se partecipi a elezioni ed entri in Parlamento, allora sei un partito. E gli esponenti di un partito sono per definizione dei politici (che poi non è un insulto, è un lavoro. Bisognerebbe semmai guardare se quel lavoro lo si fa bene o male). La normalizzazione è avvenuta nel momento stesso in cui il Movimento 5 Stelle, nell’opinione pubblica, si è trovato più vicino all’Udc che alla Caritas; una situazione che però ha colto completamente di sorpresa i suoi esponenti, che non hanno saputo gestirla con i tempi giusti.
Ma soprattutto la normalizzazione ha toccato Beppe Grillo. Ormai i suoi post sul blog non mobilitano più nessuno; a meno che non siano davvero importanti, passano inosservati come un comunicato stampa di Roberto Speranza. I tanti dissidenti, epurati o sul punto di esserlo alzano la voce sempre di più, al punto da replicare al capo con parole come “non ti devo certo chiedere il permesso per andare in tv”. Le sue analisi politiche in cui ogni sconfitta, anche la più bruciante, viene tramutata in vittoria – confrontandola con dati relativi ad anni in cui il M5S era una cosa completamente diversa da oggi – vengono recepite con un’alzata di sopracciglio anche dai militanti più fedeli. E anche i suoi comizi, un tempo pezzo forte, fortissimo della sua comunicazione sono sempre più stanchi, si ripetono, l’approssimazione delle argomentazioni è sempre più evidente. Addirittura viene contestato nella sua stessa Genova.
Nel frattempo, lo staff della comunicazione è diventato materia di barzellette, Casaleggio ha perso ogni aura da santone ed è uscito allo scoperto per quello che è: l’ennesimo imprenditore che si butta in politica, solo più nerd. Il futuro leader Di Maio (che ha in Di Battista il perfetto contraltare) è sempre più un giovane politico tra gli altri. E il futuro del Movimento 5 Stelle, in tutto questo, è un’enorme incognita. O si ritorna alle origini (e intendo quelle dei meet-up che si occupano di lotte ambientaliste sul territorio), oppure la strada sembra proprio segnata.
In tutto questo, Beppe Grillo, il capo-popolo, il leader carismatico, il portavoce che decide tutto anche se “uno vale uno” è sempre più stanco. Tanto da aver fatto il primo passo verso quella che sembra essere l’inevitabile (e necessaria) uscita dal palcoscenico: aver nominato cinque vice che, settimanalmente (come dei banali incontri ad Arcore), faranno con lui il punto della situazione. Ché a furia di decidere da solo in fretta e furia e con una foga spesso al limite dell’insensatezza, ha ottenuto solo di trasformare il M5S in un partito di destra senza un futuro davanti.
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