Partiti e politici

L’impresa del Pd? Abbassare la dignità di chiunque lo abbia avvicinato

7 Dicembre 2018

Dell’universalmente nota gamma sentimentale di Leonardo Sciascia applicata agli umani, a quale sfumatura avreste avvicinato l’ultima prodezza di Marco Minniti: uomini, mezz’uomini, ominicchi, piglianculo o quaquaraquà? L’incredibile vicenda del Partito Democratico comincia molti anni fa e oggi, steso sul tavolaccio di un disadorno obitorio politico, il corpo straziato dalle ferite viene sezionato meticolosamente da uno stuolo di professori alla ricerca della radice misteriosa di tutto questo scempio. Lasciando a ognuno il suo mestiere, forse una questione si può indagare in tempi più rapidi, ed è la questione educativa. Che può prendere forma, attraverso una domanda centrale: come è stato possibile che in tutti questi anni il Partito Democratico abbia avuto la capacità (distruttiva) di abbassare la soglia di dignità di chiunque si sia presentato alla sua porta?

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Insieme alla terribilità di questo atroce dubbio, dobbiamo al Pd, allo stesso tempo, il merito straordinario di averci donato il più grande trattato psicanalitico della storia politica. Un lavoro analitico, preciso al dettaglio, incredibilmente efficace, che servirà a chi arriverà dopo di noi (volendo, per fare peggio, ma sarà difficile). Insomma il Pd ha sì distrutto le persone, ma distruggendole ce ne ha fatto conoscere perfettamente il carattere, e le relative debolezze. Un’operazione sontuosa, impossibile, magnifica. Chiunque potesse vantare un’autorevolezza, una storia, un’idea, entrando al Nazareno ha consegnato la parte ragionevole di sé all’ammasso, sino ad autorizzare la perplessità finale ch’esse – le buone intenzioni – fossero in fondo solo un’estetica politica senza una vera profondità, un vendersi all’esterno quello che in realtà non era nemmeno di proprietà. L’epilogo della vicenda Minniti, da questo punto di vista, è stato di straordinaria efficacia.

Gli elettori dunque non hanno minimamente di che lamentarsi, il Partito Democratico non ha taciuto nulla di sé, è stato superiore alla piccola mediocrità di un’ipocrisia che spesso tende a nascondere la realtà delle situazioni, spargendo una nebbiolina insidiosa. No, in questo caso, il cielo è sempre stato terso, i cittadini hanno potuto vedere nitidamente e, inevitabilmente, dirigersi altrove.
Viene in mente Roma in questi momenti, pensando al Partito Democratico. Due declini paralleli, due discese all’inferno che sembrano parenti stretti. Il declino del Pd, la scomparsa di una dignità collettiva, ha preso entrambi le componenti: chi già era cittadino-dirigente del Nazareno, e chi, da fuori, ci metteva piede per la prima volta, entrandoci credendosi padrone. Così nella Città Eterna, dove i turisti si credono padroni coprendosi con le vergogne dei residenti: se l’esempio è questo, riflettono, scendiamo volentieri di livello anche noi, gettiamo le cartacce a terra, nessuna differenziata, la fila è un optional, e ancora molto altro di peggiore.

Rimane aperta la grande questione, pensando al Partito Democratico. Sono le persone che lo hanno rovinato, o è la sua storia che ha generato mostri? Prima un pensiero sparso, per poi magari riprenderlo in un’altra occasione: se l’organizzazione fosse stata saldamente in mano alle donne, tutto questo non sarebbe successo. Qui non si dice che non sarebbe iniziato un declino che oggi appare irreversibile, ma certo avremmo frenato, se non addirittura fermato, la caduta della dignità che appare come il tratto più distintivo (e maschile) di questo tempo. Una delle sacche negative del Pd, che ha avuto gravi ripercussioni umane, è il non essersi mai dato un’organizzazione contemporanea, da vera azienda produttiva del settore. Come se fuori dal Nazareno scorresse una vita sconosciuta (e in grande parte incomprensibile) agli abitanti di quelle stanze. All’interno, invece, quei riti mesozoici delle segreterie sempre uguali, senza discussioni, quelle votazioni con “un astenuto e due contrari”, quell’accelerare gli interventi perché “i colleghi devono rientrare a casa”, quell’evitare il disturbatore di turno che magari vuol far votare qualcosa di decentemente rappresentativo del sentimento popolare con un magheggio da regolamento alla Orfini.

Dentro, nel Pd è sempre mancata l’aria, nessuno ha mai aperto una finestra, e naturalmente chi si è succeduto al potere di quelle stanze ha capito perfettamente che anche le opposizioni interne avrebbero fatto il suo gioco, badando ai posti più che alla politica. Tutti si sono garantiti reciprocamente, in un mutuo soccorso indecente. La vera responsabilità di Matteo Renzi è non aver dato seguito alla sua contemporaneità, al suo essere di questo tempo, all’essere il più veloce a imparare il gioco nuovo, il più smart della compagnia, il più sveglio e anche il più paraculo. Doveva portare tutto questo dentro il Pd, e invece il Potere con le sue smanie lo ha completamente sopraffatto, risucchiandolo in un gorgo da una parte godurioso, dall’altro esiziale per i suoi destini politici.

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La fine era ampiamente nota. E infatti, il segno è che nessuno si è sorpreso, nessuno piange calde lacrime, il paradosso finale e drammatico è che nel Partito Democratico non c’è Disperazione. In fondo, i molti che lo hanno distrutto si sono garantiti chi venti, chi trenta, chi dieci anni di serenissima poltrona ben retribuita dai cittadini. Non ci sono come le care, vecchie, buone abitudini a spegnere le emozioni. Ha senso, oggi, tenere ancora in piedi una rappresentazione completamente fuori dal tempo e dallo spazio? La risposta sarebbe scontata.

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