Partiti e politici

L’impaziente zero, novello Calamandrei, che urla alle libertà negate

23 Marzo 2020

Tutti quelli che stanno gridando alle libertà negate, ai diritti civili sfregiati, tutti quelli che evocano scenari sudamericani o persino nazisti, introducendo l’elemento militare come estrema frontiera della perdizione democratica, ecco tutti questi soggetti, che in questo tempo amaro non sembrano nemmeno essere pochissimi, dovrebbero farsi una semplice domanda: ci sto rimettendo qualcosa di personale, ci sto rimettendo almeno la faccia, la reputazione, il prestigio acquisito? Perché la matematica dei diritti civili ha un percorso preciso, non arrangiato, minuzioso, capillare, quasi scientifico. Passa da una preparazione culturale, innanzitutto, ma sin qui niente di nuovo. Tutto ciò che impegna, merita conoscenza delle cose e della storia. Ma passa soprattutto per lo sguardo di disprezzo di larga parte della società, perché stai difendendo qualcosa di apparentemente infame. È questo il gioco. Stai difendendo, magari, i diritti carcerari di un mafioso al 416 bis, stai difendendo il diritto alla difesa di uno stupratore seriale, o di un pedofilo assassino, ti stai battendo per una causa “ideale” attraverso il Male ( e ricordatevi delle leggi speciali sotto il terrorismo). Proprio perché la terribilità di quei delitti è il punto massimo di estensione di una coscienza civile, oltre c’è solo la santità. Ecco, nella nostra storia, ci sono state persone così. Non moltissime, perché il molto non è contemplato quando metti in discussione i cardini di una democrazia. Semplificando, la storia dei Radicali è un buon testo su cui su studiare. Ma non è il solo, sia chiaro.
Per restare in casa radicale. L’altro giorno, un giornalista preparato e serio come Sergio Scandura ha posto un problema. Da vero radicale in purezza, si potrebbe dire. Ha eccepito su un provvedimento del ministro Lamorgese, e cioè l’estensione ai militari dei compiti di Polizia, come anticamera di uno scenario vagamente inquietante. Volevo scrivergli, volevo scriverne, quasi per dirgli: ma caro Sergio, la tua cristallina ingenuità non è di questo tempo, ma poi mi sono fermato. Ho pensato di rispettarne il punto, che in punta di diritto avrebbe anche una qualche liceità. E mi sono detto: eccolo qui, l’antico meccanismo che animò tempi più profondi, una questione apparentemente minima, laterale, che allo studioso pare meritevole di approfondimento. Credete che in questo guazzabuglio urlante, qualcuno abbia evocato la questione militari/polizia, ovvero il lodo Scandura?

Macché, troppo sofisticata, meglio buttarla in caciara con quelle quattro espressioni chiave – untori, regime, conferenza stampa, “niente domande”, corsetta – imparate le quali ti puoi buttare sui social a dire le tue puttanate perchè tanto nessuno ti ascolta.
Prima di passare all’esame di queste parole chiave, cerchiamo di capire di che pasta è fatto questo risveglio democratico, chi sono questi novelli Calamandrei che spuntano in ogni cespuglio, da dove nascono e dove vogliono arrivare? C’è il fattore Tenco, innanzitutto, quando scrive “Mi sono innamorato di te, perché non avevo niente da fare”. E il niente da fare, qui è potente. C’è tantissimo spazio per il pensiero, per il libero pensiero. E perché non dare un’elegante confezione a questo “niente da fare”? C’è una forma neppure troppo sottaciuta di snobismo culturale, nell’identificare frammenti di regime sudamericano in un contesto così devastante come quello che stiamo vivendo. C’è l’impaziente zero – sinistra chic, buone letture mainstream, tentativo di ritagliarsi tra la folla una nicchia anche un po’ nobile – che per primo immette la questione “libertà” sui social, consapevole di contagiare i più deboli, che lo seguiranno per istinto e per contagio. Non dà alcun riferimento preciso, non dice: allora, questo provvedimento è liberticida, quest’altro decreto viola i principi costituzionale, no, sa perfettamente che quanto sta succedendo è perfettamente ricompreso nell’articolo 16 della nostra Carta, ma non gli importa: «Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche».
Proprio così dice la nostra adorata Costituzione, vegliarda dal cuore d’acciaio. Sanità e sicurezza. Sono “i” due elementi di questo flagello. Animato il dibattito, ogni giorno poi porta la sua pena, per cui si può leggere: «Le comunicazioni senza domande, i militari che invocano atti di forza, l’allarme sociale. Dio ci protegga da quello che sembra». Già, e cosa sembra?
Prendiamo la comunicazione, nel caso senza domande. Una quarantina d’anni di conferenze stampa ci fanno concludere che la conferenza stampa non è per i giornalisti italiani. Non ve n’è la cultura, per esempio come in America. Non c’è, non c’è mai stata, nessuna vocazione a mettere in difficoltà l’uomo di Potere, è più una forma colloquiale, una melassa istituzionale che si perpetua da sessant’anni, una meravigliosa zona franca di cui il potere ha sempre goduto.

Lamentarsi oggi perché “non si fanno le domande” è più che da anime belle, è da pianeta Papalla. Piuttosto, passa come normalità quella comunicazione quotidiana delle 18 che semmai è il vero, tragico, problema, dove le informazioni vengono centellinate con la formula della lista della spesa, senza costrutto, senza offrire il quadro più complessivo di un fenomeno bellico come questo. È solo una conta dei morti e dei contagiati, pensano in molti, non senza ragione. Quanto agli untori, ai corridori, a chi ama i cagnetti. Ridurremmo davvero al minimo la questione, perché attribuirle uno spessore definito è fare il gioco di qualche fesso. È in gioco qualcosa di definitivo, la vita. Il senso di responsabilità segue.

Non vorremmo deludere i creatori di questo fenomeno, novelli neomelodici delle libertà negate. Ma quando uno stato, parti di uno stato, apparati dello stato, apparati paralleli allo stato, cominciano a pensare di ridurre i nostri diritti, i diritti dei cittadini, questi movimenti si “sentono”, hanno una loro fisicità, vertono ancora su meccanismi antichi e consolidati. E certo non assomigliamo a quei militari che stiamo incontrando mentre andiamo a fare la spesa. Né si intercettano, surrettiziamente, nelle lunghe pagine di quei decreti che, certo, ci stanno restringendo le libertà personali, ma semplicemente per salvarci la vita. Comunque, ci dev’essere anche del buono in tutte queste antenne dritte e dunque vi aspettiamo su cimenti leggermente più sofisticati.

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