Partiti e politici

Lettera semiseria ai democratici detrattori della Raggi

11 Settembre 2016

Non è facile sopravvivere, senza certe appartenenze, in questi tempi pesanti, cioè continuare pervicacemente a nutrire un grado simile di avversione per il PD targato Renzi e per il Movimento 5 stelle.

Si rischia l’autismo, o un senso di solitudine nera che solo un gazebo dell’Anpi in mezzo ad una festa dell’Unita’ può provare.
Qualcuno potrebbe suggerire che in fondo “basta un Si”. Ma per quello che sto per scrivere un “Anche Basta” è locuzione di certo più indicata.

I bizzarri travagli che stanno caratterizzando Virginia Raggi, in questi primi mesi di governo della capitale, non passano certo inosservati soprattutto se si frequentano assiduamente i social media.
Il primo ricordo che ho di lei è una intervista radiofonica fattale da Vittorio Zucconi in cui l’allora candidata a primo cittadino di Roma affermava di voler essere chiamata “sindaco” e non ” sindaca”, perché lei delle parole e relative desinenze si curava il giusto; a lei interessavano i “fatti”.
Non mi piacque quella affermazione, quel suo sbrigativo liquidare una conquista capitale del femminismo, almeno secondo Laura Boldrini.
L’indomani della sua vittoria presi un taxi a Termini e non mi trattenni dall’intervistare sull’esito della consultazione elettorale la simpatica conducente che non esitò a definirsi: ” RAGGIante”.

Chi un minimo pratica Roma sa che i taxisti rappresentano un pezzo importante della coscienza sociale della città oltre ovviamente a conoscerla molto bene (e non mi riferisco alle strade anche perché hanno tutti ormai il navigatore satellitare).
Quell’entusiasmo mi colpì e ovviamente mi indusse forte perplessità, come perplesso successivamente mi lasciò il video in cui simbolicamente Virginia apriva le porte del Campidoglio ai Romani.
Inciso: la Raggi con la telecamera non ci sa fare; ti aspetti sempre che sul più bello scoppi a ridere e dica:”rifacciamo dai!”
Un aspetto però della “Virgy Story” non mi ha mai stupito: la sua vittoria schiacciante.
Vivendo a Roma 5 giorni su 7 ho avuto modo di respirare l’incazzatura di una città intera per l’epilogo della avventura del “Marziano” Ignazio Marino e lo schifo per Mafia Capitale, schifo che si aggiungeva, sedimentandosi, ad altri schifi di ogni colore politico, ordine e grado.
Giacchetti era ovunque percepito in netta continuità con quello schifo unto e appiccicoso come certe giornate quando Ama e il Ponentino non fanno il loro dovere.
Oggi l’entusiasmo ha lasciato posto ad un rassegnato disincanto che è tipico del modus tutto romano di prendere una vita che non è mai quello che ti aspetti, con metropolitane che si rompono, buche che si aprono e cassonetti che si riempiono. E poi capita pure che piove.
Disincanto, si diceva, certo, ma nessun dubbio sul fatto di aver fatto la scelta giusta. O meglio di aver prodotto, nell’urna, l’unica scelta possibile.

Nessuno insomma, dal mio barista di Monteverde Nuovo, all’avvocato con studio all’Eur che abita di fronte a me, che rimpiangesse di non aver messo la croce su Giacchetti.
Il fuoco di fila che il partito democratico e i suoi trolls professionali sta da giorni mettendo in campo contro il Movimento non si sta traducendo in un ritorno di fiamma verso la sinistra capitolina.
Eccessivo, martellante, impietoso a volte fuori luogo, il coro di sfottò verso la sindaca, o meglio il sindaco, verso Di Maio, Taverna e soci, non pare affossare i grillini, per il semplice fatto che viene da esponenti o difensori di un partito che in fatto di moralità e capacità amministrative non può dare lezioni a nessuno e facendolo comunque, contando cioè sulla memoria corta e virtuale dei romani e degli italiani, rischia solo di aiutare Beppe Grillo  nel non semplice compito di “serrare le fila”.
È normale che un movimento degli “onesti” (e insopportabilmente forcaiolo), quando inciampa su avvisi di garanzie, mail non comprese, bugie e faide intestine, materializzi una palla alzata così bene che non schiacciarla sarebbe un delitto, ma è pur vero che chi schiaccia, dovrebbe avere la saggezza di non calcare troppo la mano, perché da quando Grillo è Grillo, nulla gli ha fatto più bene in termini di audience e consenso, che le manovre di isolamento e i lanci di stigma che in molti gli hanno mosso contro in questi anni di agone politico.
Quando il Movimento 5 stelle ha perso (come alle ultime elezioni europee) ha perso perché ha sbagliato campagna elettorale, spingendo troppo sull’ acceleratore delle vendette postume e del populismo, e non certo perché gli oppositori ne evidenziassero i limiti o lo sbeffeggiassero un giorno sì e l’altro pure.
Virginia Raggi rischia seriamente di uscire da questa vicenda, martire e rafforzata.
Se poi la frattura con i 5 stelle arrivasse al punto di registrare la scomparsa del simbolo, saremmo di fronte ad una appassionante saga tutta da scrivere, che vedrebbe una giovane donna sola contro tutti nel cimento improbo di ridare un minimo di presentabilita’ ad una città bellissima e straziata dalla malapolitica.

Altro che “prendo i popcorn!” Con i popcorn più di uno di quelli che ora passa il tempo a scrivere post al vetriolo potrebbe finire per strozzarcisi!
Se proprio poi non ce la si fa ad uscire dallo schema della demonizzazione, si provi ad avere più rispetto per quei romani che Virginia Raggi l’hanno votata e che anche di fronte alla sua prima epic fail non sono nemmeno per un attimo sfiorati dal dubbio di aver sbagliato a non votare il partito democratico.
Almeno la taxista RAGGIante, il mio barista e il mio dirimpettaio avvocato, che più di una sfaccettatura della società romana, nel loro piccolo, la rappresentano. O no?

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