Partiti e politici
Lettera aperta al segretario reggente Maurizio Martina
di Enrico Ferrara e Luca Cinciripini
Caro Segretario reggente Maurizio Martina,
a scriverLe sono due giovani professionisti, milanesi d’adozione, come tanti emigrati per esigenze di lavoro e studio nella capitale del Nord. Divisi da esperienze professionali e da interessi diversi, oltre l’età, ci unisce la comune passione per la politica, intesa nel senso più alto del termine quale interesse per la collettività, e il riconoscimento condiviso nel Partito Democratico, di cui siamo entrambi elettori.
Sicuramente si starà chiedendo – come di certo anche i lettori – quali siano le ragioni per le quali abbiamo deciso di intervenire al dibattito pubblico sul Partito e rivolgerci a Lei. Abbiamo letto con attenzione l’intervista che ha rilasciato al quotidiano La Repubblica, pubblicata lo scorso 16 marzo, e ne siamo rimasti colpiti.
Anzi, ci ha confortato e permesso di nutrire qualche speranza in più sulla possibilità di partecipare al futuro dibattito sulla ricostruzione di un Partito che sentiamo anche nostro. Abbiamo individuato alcune parole chiave nelle Sue dichiarazioni, che riteniamo fondamentali e centrali perché il Partito Democratico riscopra quella “vocazione maggioritaria” per cui è nato e che ha smarrito negli ultimi anni.
1. Collegialità decisionale e pluralismo
L’esperienza appena conclusa della guida di Matteo Renzi ha dimostrato che la leadership di un uomo solo al comando, che vuole essere decisionista e risoluto, ha creato fratture insanabili, dimostrandosi incapace di trovare una mediazione efficace fra la pluralità di anime ed esperienze che animano il Partito Democratico.
La segreteria di Renzi è finita per diventare assoluta, accentuando uno scollamento e una distanza dal consenso dentro e fuori il Partito. Quattro anni di direzione personalistica e monoteista hanno condotto il Partito Democratico alla più grande sconfitta del centrosinistra della storia recente. Nel decisionismo unificante del leader carismatico sono stati soffocati i valori fondanti della collegialità e del rispetto della pluralità. A tali principi speriamo che la nuova Segreteria voglia ispirarsi per far tesoro degli errori commessi.
2. Partecipazione
Non solo le nuove generazioni, alle quali apparteniamo anche noi, ma tutti gli elettori del centrosinistra chiedono partecipazione. Il recente successo dei partiti populisti dimostra che la gente vuole due cose: una rivoluzione nel sistema di gestione della cosa pubblica e, al contempo, un riavvicinamento della classe politica ai propri bisogni. Vuole contare, essere rilevante, tornare finalmente ad essere ascoltata.
Come fare? Con un movimento di apertura partecipativa dalla base verso il centro, ma soprattutto viceversa.
Per garantire il primo è necessario che il Partito riscopra il legame con i suoi elettori, il valore del territorio. Vogliamo luoghi di riunione e coinvolgimento, dove le persone possano condividere le proprie idee e confrontarsi con i propri rappresentanti.
Dall’altra, vogliamo essere coinvolti da questi ultimi nelle decisioni più importanti che riguardano la vita e l’orientamento del Partito. Gli strumenti di democrazia diretta e partecipata come il referendum fra gli iscritti possono permettere di raggiungere questo scopo.
3. Ricollocamento a sinistra
Un nuovo metodo che porti ad una partecipazione davvero democratica non può bastare da solo. È necessario un chiaro collocamento del Partito a sinistra, che riporti al centro dell’agenda politica i temi sociali, i bisogni reali dei cittadini. Per fare questo, ha ragione Segretario, bisogna ripartire dal Capitalismo sociale, dalle necessità della Gente, dalle vere priorità del Paese.
È necessario che la Sinistra torni ad incarnare il riformismo di cui è sempre stata portatrice e volga lo sguardo verso il futuro, non più incatenata al proprio passato.
Ciò non significa affatto rinunciare alle proprie battaglie, nè ai propri valori fondanti. Tutt’altro.
Significa spingere l’orizzonte oltre, sempre più avanti. Senza paure delle sfide che questo tempo porta con sè, che sono profonde e potenzialmente devastanti. La rivoluzione tecnologica e digitale in corso, la precarizzazione sempre più dominante di lavori e rapporti umani, sono sfide cui la Sinistra deve rispondere non chiudendosi in un nostalgico e anestetizzante ricordo del passato, ma prendendo atto che la realtà attorno è cambiata. Adattarsi, dunque, per consentire a tutti coloro che sono rimasti ai margini di un mondo, che un tempo era di garanzie, reti sociali e protezioni, ed integrarli, accoglierli, far capire loro che una mano tesa ci sarà sempre.
Se la Sinistra saprà fare questo, anche andando contro rendite di posizione e privilegi acquisiti, potrà finalmente recuperare quella spinta popolare e sociale che è nella propria natura. Senza, non c’è Sinistra. Senza attenzione agli ultimi, senza la capacità di spezzare privilegi e poteri, senza la lungimiranza di vedere in anticipo il mondo che verrà, non c’è e non ci sarà più spazio per la Sinistra.
4. Riscoperta della nostra identità
Per capire dove il Partito democratico ha intenzione di andare nel prossimo futuro, è necessario comprendere da dove veniamo.
Per rispondere che cosa voglia diventare, bisogna prima capire che cos’è il Partito Democratico.
Dobbiamo riscoprire la nostra identità, come frutto dei valori e della storia comune, che affonda le radici in un passato di lotta civile ed etica a favore degli ultimi e delle classi più disagiate per la conquista dei diritti di tutti.
Per ritrovare la nostra identità, dobbiamo riscoprire la nostra storia e il tessuto dei nostri valori più profondi. Non significa tornare alle Ideologie del Novecento, ma utilizzare la trama di idee e principi per rendere la società ancora una volta migliore.
5. Formazione politica
Infine, Segretario, non è vero che noi giovani non vogliamo partecipare al dibattito pubblico.
Non è vero che siamo disinteressati e svogliati. È vero che non abbiamo mezzi per farlo seriamente. Non abbiamo occasioni nè per partecipare nè per formarci una coscienza e una cultura politica per diventare la classe dirigente dell’Italia di domani.
L’idea del partito liquido ha fallito. In questo momento storico in cui i partiti politici hanno perso la loro centralità all’interno della società, è necessario che tornino ad essere ciò che sono sempre stati: centri di cultura, di educazione, di formazione delle nuove generazioni. È necessario che il Partito torni ad essere presente nelle periferie, sia punto di aggregazione, di crescita e speranza, specialmente nelle aree più disagiate e complicate del Paese.
L’idea di un partito che accantona le tessere, ma soprattutto abdica al proprio essenziale compito educativo in nome di una maggiore volatilità e leggerezza, è una delle cause principali della sconfitta del 4 marzo. Il Movimento 5 Stelle sta dimostrando che l’onestà non basta da sola. Servono preparazione e competenza. Servono scuole di formazione politica, che insegnino alla nuova classe dirigente e che insegnino ad essere classe dirigente.
Nel momento più delicato della democrazia repubblicana, il Paese ha bisogno di un grande partito di centrosinistra, che si inserisca nel solco tracciato dai partiti socialisti europei. L’unico argine al populismo è il Partito Democratico, ma solo un Partito Democratico che affronti con coraggio e fermezza i temi sociali e i bisogni reali della gente potrà esserlo davvero. Per fare questo, per fare fronte allo smarrimento sociale e giovanile, dovrete tornare a parlare al Paese, dotandovi di riferimenti culturali e politici certi, oltre a garantirci la certezza di poter partecipare e di essere davvero ascoltati.
Solo così il Partito Democratico potrà essere bussola nel mare dell’incertezza.
Enrico Ferrara
Luca Cinciripini
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