Partiti e politici
Letta non era adatto, ok. Ma chi può esserlo in un partito sbagliato?
Nell’incredibile capacità della politica italiana di fare sempre le stesse cose, oggi succede quel che tutti sapevamo sarebbe successo. La vittoria elettorale della destra combinata col pessimo risultato del Pd di Enrico Letta, produce la prima vittima sacrificale, diremmo rituale, nella politica italiana. Ovviamente Enrico Letta. Il mestiere di segretario del Pd, si sa, è logorante, e l’ultimo arrivato alla segreteria paga sempre il conto per tutti quelli che sono passati prima al bar. Poco importa se l’ultimo avventore abbia preso un caffè: le casse di champagne consumate prima vengono sempre iscritte tutte al suo conto. È esattamente quello che succede anche stavolta, con Letta che annuncia il percorso che porterà al congresso di Febbraio 2023, e che non lo vedrà ricandidato.
Intendiamoci: ovviamente anche Letta ha fatto i suoi errori, come capita a tutti. Ha letto male la traiettoria del campo largo, non ha guidato il processo di rottura (o di ricucitura, perchè no?) coi 5 Stelle dopo lo strappo di luglio. Si fa fatto fregare da Calenda (e, indirittamente, da Renzi, again). Cose che succedono e che non hanno aiutato. Ancor meno ha aiutato il suo tono umano e politico pacato, da pisano accademico e romano borghese, che quando dice che servono “gli occhi di tigre” ha in realtà l’aspetto e il linguaggio del corpo dell’agnellino pochi giorni prima di Pasqua. E però, per vero che questo sia, non si possono imputare a Letta colpe che non sono sue. Richiamato, senza nemmeno spiegare perchè, da Parigi, alla fine dell’ultima segreteria, per prendere in mano il partito, lo ha trovato zeppo di avversari interni, di amici dell’ex segretario nemico che se n’era andato, rappresentato per lo più da una classe di 50/60essantenni che vivevano di politica da quando avevano i calzoni corti. Ha trovato un partito affetto dalla malattia acuta dei partiti progressisti occidentali, che i voti li prendono solo tra i ricchi che vivono in città ricche. Con attorno spinte populiste di ogni colore, con attorno un mondo di merda popolato di pandemie guerre e carestie, in cui l’unica cosa che il Pd può fare è anche l’unica che vuole fare: governare, con chiunque, indipendente da come lo sa fare.
Tutto questo, diciamolo bene, non è colpa di Enrico Letta, anche se lui non aveva il fisico per cambiare questa storia, nè in ogni caso avrebbe avuto il tempo per farlo. Ma adesso che l’ennesima palingenesi è finita in archivio, è bene osservare quella che già si prepara. Bonaccini, lo si dice da settimane, già scalda i motori, e oggi sul Corriere si legge che però vorrebbe un’investitura piena e unitaria, e che mai potrebbe accettare di avere contro il segretario uscente. Vuol dire, se ho capito: datemi il partito e poi ci penso io. Io, cioè quel genere di vecchio giovane dirigente emiliano, tutto sviluppo e stanze di partito, tra le valli della piastrella e con la forma mentis di chi preferisce fare un compromesso anche se potrebbe vincere senza. Oppure, in radicale alternativa, si legge Elly Schlein, figlia di un idea di partito tutta diversa, nata con Occupy Pd dieci anni fa, proseguita col Possibile di Civati, maturata proprio in Emilia a far vice da Bonaccini: e poi chissà. Una leadership del Pd, in questo caso, prodotta fuori dalle sue mura, perché Schlein fino a poco tempo fa rivendicava orgogliosamente di essere altro. Elly sarebbe il nome giusto per tagliare la strada alle rivalità interne, tra la vecchia sinistra di Andrea Orlando e quella giovane di Provenzano. Il tutto – sempre oggi leggevamo – sarebbe benedetto e organizzato da Goffredo Bettini, che sarà quel che sarà, ma oggi gongola guardando al 15% dei 5 Stelle.
Sia come sia, chiunque sia il prossimo capo o la prossima capa, sarà bene immaginare un tempo in cui si ricomincia da capo a conoscere la società. Non si parla qui di radicamento, rappresentanza dei ceti deboli e di tutto il resto. No, si tratta proprio di un percorso di conoscenza e di assorbimento di un’umanità di cui il Pd non sembra conoscere la storia, e più nemmeno la geografia. Proprio Provenzano, da me intervistato qualche settimana fa, diceva che uno dei problemi è la sovrapponibilità “censuale” tra i buoni borghesi elettori del Pd, e e i buoni borghesi eletti. Gli uni si fanno comprensibilmente rappresentare dagli altri. Ragionevolmente ci sono cinque anni per prendere coscienza del problema. Fare opposizione non è solo o tanto far casino in parlamento, ma ascoltare il casino che attraversa il paese. Non è facile ok, ma anche solo per ingannare il tempo potrebbe essere un’idea.
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