Partiti e politici

L’etica «à la carte»: Panebianco, Renzi e quel De Luca che fa come gli pare

22 Marzo 2015

È istruttivo leggere cosa pensano gli altri dei diritti e delle garanzie, gli altri che fanno opinione e che generalmente hanno un loro seguito (o credono di averlo). In questo caso Angelo Panebianco, che sul Corriere della Sera si è esercitato in un tema caro, quello delle intercettazioni, all’interno di un tema più universale come l’equilibrio, in questo caso lo squilibrio, tra magistratura e politica. Panebianco, va detto, è la lettura perfetta per assecondare l’umida malinconia delle domeniche piovose. Non ci siamo neppure negati, e perché poi, l’intervista di Matteo Renzi a Rep, nella quale il premier respinge l’accusa di doppiopesismo rispetto alla condizione degli indagati all’interno dell’esecutivo.

Ma partiamo da Panebianco. Il quale, smessi un po’ i panni del professore, si riveste da cittadino della strada e pone gli inquietanti interrogativi che seguono. Intanto, ci dice subito che nel caso Lupi il premier ha assecondato gli umori della piazza, «esponendosi all’accusa di opportunismo, di essere uno che usa due pesi e due misure, salvando (politicamente) o condannando a seconda della sue convenienze». Poi lo pizzica su decisionismo, questo sì indispensabile sulle intercettazioni, sulle quali «avrebbe potuto (Renzi) tirare fuori di tasca la bomba atomica: un decreto legge che ponesse immediatamente fine a un ventennio di diffusione arbitraria. Altro che il solito “disegno di legge”, destinato a fare la fine di tutti quelli che lo hanno preceduto».

Fatte le debite premesse, il Panebianco tira fuori il ginettaccio che è in lui, offrendo il suo squarcio privilegiato sul mondo. Una sorta di “così fan tutti” perfettamente italiano, un po’ carbonara, un po’ gricia, un po’ matriciana. «Prendiamo le ventuno democrazie occidentali più consolidate – scrive sul Corriere – (quelle che sono tali con continuità dalla fine della Seconda guerra mondiale). Quante volte, diciamo negli ultimi dieci anni, plausibilmente, ministri di queste ventuno democrazie hanno fatto telefonate simili a quelle che sono costate il posto a Maurizio Lupi? Vogliamo essere prudenti? – ironizza il prof bolognese. Vogliamo dire “solo” decine e decine di volte? E in quanti casi, simili telefonate, intercettate dall’autorità giudiziaria , sono diventate pubbliche ponendo fine alla carriera del ministro?»

Ci piace la realpolitik del prof corrierista, perché in qualche misura ne pesa al grammo il fastidio per una risoluzione dei problemi che farebbe capo a etica e non a norma penale. Ma soprattutto ci piace il prof corrierista quando disvela finalmente la sua attitudine a quella concretezza pelosa secondo cui certi comportamenti appartengono innanzitutto all’Uomo, e poi di conseguenza all’uomo politico, e poi di conseguenza all’uomo politico disinvolto, e poi di conseguenza in conseguenza all’uomo politico corrotto. Ci dice, il buon Angelo: ma chi non le fa quelle telefonate, chi non è zimbello di superburocrati che dispongono a piacimento dei destini del ministro, chi non offre all’amico di una vita una tonnellata di superlavori milionari e badate bene, qui teniamo debitamente fuori la faccenduola del figlio perché arriva molto, molto, dopo tutte queste storie appena un po’ più importanti.

Ma mettiamo pure che sia così, come sostiene l’editorialista del Corriere della Sera. Che tutti i ministri delle democrazie occidentali facciano quelle telefonate lì. È plausibile, fors’anche probabile. C’è un aspetto, però, mica tanto marginale, che stranamente Panebianco dimentica nel suo articolo. Mettiamo dunque che non sia per nulla una “questione etica”, come qualche sprovveduto vorrebbe far credere, ma solo prassi comune. Come si spiega, allora, che le grandi opere, i lavori pubblici di quei Paesi lì, vanno generalmente a buon fine nonostante quei ministri disinvolti, faciloni, nelle mani di altri soggetti poco raccomandabili? Com’è possibile questo dislivello logico: un miracolo, una felice definizione del caso, una stranezza del destino?

Probabilmente niente di tutto questo. Piuttosto, “solo” una banalissima concezione della società, in cui pesi politici e contrappesi etici ne dispongono l’equilibrio finale, dove la formazione negli anni di una consapevolezza sociale all’interno dell’opinione pubblica ha creato quella forza invisibile, eppure così materica, che può essere considerata in tutta la sua potenza espressiva quando la vita politica presenta i suoi passaggi più delicati. Quella forza che farebbe sentire tutto il suo peso in una vicenda simile a quella di Maurizio Lupi. Da qui, la semplice deduzione che forse sarà anche possibile che all’estero abbiano decine e decine di ministri poco attenti e con poca disciplina come Maurizio Lupi, ma evidentemente hanno società più formate, più serie, più responsabili.

Intanto, sull’accusa di doppiopesismo Matteo Renzi ha risolto alla sua maniera: opponendo la Carta. «Ho sempre detto che non ci si dimette per un avviso di garanzia – così a Repubblica -. E se parliamo di faccia, le dico con sguardo fiero che per me un cittadino è innocente finchè la sentenza non passa in giudicato. Del resto, è scritto nella Costituzione. Se si dice che è la più bella del mondo, poi bisogna almeno leggerla, altrimenti non vale». Non avrebbe torto sul punto, il nostro presidente del Consiglio. Chiede semplicemente di non mischiare i piani: o il codice e la sacra Carta oppure i requisiti morali. Lupi era del secondo tipo, per cui si “doveva” dimettere. Con gli indagati, vale il garantismo. Certo, non è chiaro come avrebbe risolto un Lupi “avvisato” con le medesime intercettazioni, avrebbe opposto anche in quel caso la nostra Carta?

Questo per dire che è difficile, se non impossibile, imporre una rigida griglia di comportamenti e le questioni, anche quelle giudiziarie, impongono valutazioni politiche, non difese a prescindere. Anche perché il presidente del Consiglio, poi, deraglia tragicamente su De Luca, già condannato: «Lui ha fatto una scelta diversa, considera giusto chiedere il voto agli elettori e si sente forte del risultato delle primarie».

Lui? Ma cos’è De Luca un alieno, un’entità astratta, un virus da laboratorio? Abbiamo capito e traduciamo: De Luca fa come cazzo gli pare e Renzi non mette becco.

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