Partiti e politici
L’eterno malcontento che uccide la politica
Quando da piccola “rosicavo” perché a scuola qualcuno era andato meglio di me in un compito in classe o era stato scelto per la parte del protagonista nella recita di fine anno, mia madre mi diceva di smetterla e di occupare meglio il mio tempo impegnandomi a migliorare. Se qualcuno era “arrivato prima” di me era perché aveva “fatto meglio” e se lo meritava. La sola cosa che potevo fare era alzare il tiro, fare bene, fare il passo in più. Oppure cambiare obiettivo – certo – ma di sicuro non stare in un angolo a rimuginare.
Una lezione di vita forse banale, ma non troppo se si osserva l’attitudine media della classe politica italiana. Da tempo infatti si parla di crisi della leadership nei partiti “storici” e, più in generale, di crisi di una classe dirigente incapace di esprimere progettualità e visione di lungo termine. Il dibattito politico si sviluppa, con toni emergenziali, intorno alla ricerca di soluzioni immediate a problemi complessi che, quando va bene, mettono una pezza provvisoria pronta a scollarsi al primo metaforico lavaggio. Pensiamo a temi come la crisi del sistema economico e lavorativo o, ancor peggio, al problema ambientale del riscaldamento globale e del venir meno delle risorse non rinnovabili. Si fatica a comprendere quale sia la linea di un determinato partito o movimento, ma – in molti casi – quest’ultima è talmente variabile a seconda degli umori dell’opinone pubblica da perdere completamente di credibilità. Non solo la costruzione del consenso ha sostituito la progettazione politica, ma per arrivare a ricoprire il ruolo di leader (a livello individuale o come collettivo, ovvero come partito) non si percorre la strada dell’affermazione per merito o per ideale, ma si “lavora ai fianchi” l’avversario per screditarlo e detronizzarlo.
Dal buon Giulio Cesare ad oggi, insomma, pare sia cambiato poco: per fortuna le pugnalate sono diventate verbali.
Se infatti un tempo all’affermarsi – in un congresso di partito, in una tornata elettorale – di una maggioranza, la minoranza incominciava da subito a ricoprire responsabilmente il suo ruolo operando da una parte come agente di controllo, dall’altra come generatore di nuove proposte, oggi l’obiettivo sembra quello di operare, dentro e fuori il mondo dei media, una critica costante, in molti casi di puro carattere ideologico, e priva di qualsiasi elemento propositivo. Se la maggioranza propone cento non si rilancia sostenendo che è possibile arrivare a mille, ma si critica costantemente quel “cento”, si cerca di delegittimarlo senza costruire davvero una proposta alternativa. Tutta la fatica è finalizzata alla “detronizzazione” e sostituzione per mancanza di competitori.
Un sistema che vede l’alternarsi di correnti, fazioni e partiti su queste basi come può esprimere innovazione? Quale tipo di visione della società può elaborare chi si limita a criticare quella espressa da altri?
In questo senso l’attuale crisi del dibattito politico e dell’identià dei partiti maggiori in Italia è frutto sì un lungo percorso di esaurimento delle ideologie storiche, ma anche e soprattutto del venir meno dei grandi “nemici”, a destra come a sinistra, che per decenni avevano compattato i fronti degli “anti”. Anticomunisti VS antiberlusconiani, con le immancabili variazioni sul tema, hanno permesso al sistema dei partiti storici di continuare a reggersi nel progressivo venir meno di quegli ideali e valori di riferimento che avevano animato il loro costituirsi nel dopoguerra. Gli antichi però già lo sapevano: al venir meno del metus hostilis (il timore del nemico contro il quale si dovevano unire le forze soprassedendo rispetto alle eventuali diatribe interne) occorre avere pronta una proposta capace di tenere viva la comunità. Oppure occorreva trovare un altro nemico.
La scelta portata avanti dai maggiori partiti oggi appare chiara, tanto all’esterno, quanto all’interno delle organizzazioni. Anche i nemici però devono essere all’altezza del loro ruolo. La minaccia all’impero poteva essere un buon collante (e in questo i partiti di difesa nazionale che in tutto il mondo basano sulla paura dello straniero la loro esistenza hanno imparato perfettamente la lezione), ma quando le minacce si giocano tutte fra realtà di “simili” che hanno perso di rilevanza e riferimenti nella società cosa resta da difendere? Un’idea, forse, una proposta.
La prima squadra che avrà l’audacia di cambiare atteggiamento e, senza limitarsi a criticare l’arbitro di gara, di alzare l’asticella per il salto forse potrà farci tornare a sperare in un vero cambiamento. Fino ad allora bisognerà accontentarsi di trovare ogni giorno nuovi nemici. In un costante rimbrottarsi fra malcontenti.
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