Partiti e politici

L’errore di Pippo Civati che lascia il PD

6 Maggio 2015

Per un bel po’ di tempo ho creduto in Pippo Civati, e quando ci fu la rottura con Matteo Renzi, l’uomo con cui ha dato vita alla Leopolda, si capirono subito le ragioni profonde di quella separazione. Al di là delle questioni più prettamente politiche, era semplicemente difficile immaginare Renzi che condivide il palcoscenico con qualcun altro, soprattutto se questo qualcuno non è perfettamente allineato con le sue posizioni.

Non solo, il fatto che i due si fossero divisi mi sembrava la soluzione perfetta: da una parte il nuovo della sinistra iper-riformista, dall’altra il nuovo della sinistra-sinistra. Mi era parso che in Civati, come avevo scritto altrove, fosse “possibile trovare una sinistra che non cede il passo al centrismo, ma che guarda al futuro, sia in termini di comunicazione e marketing politico, sia in termini di valori politici. Una sinistra non più grigia, anzi, e che però allo stesso tempo tenga fede al suo essere di sinistra”.

Insieme, e contrapposti, Renzi e Civati potevano dare vita a una dialettica all’interno del partito che ne avrebbe garantito un bel futuro. Le cose, poi, sono andate diversamente. E non tanto perché Renzi, da rottamatore, è diventato il leader che oggi abbiamo tutti sotto gli occhi (nel bene e nel male), ma perché davvero si ha l’impressione che Civati si sia perso per strada. Uno smarrimento cominciato dopo la sconfitta (più che prevedibile) alle primarie che incoronarono Renzi segretario.

Il suo essere di sinistra “ma anche” innovativo sembrava essere la ricetta del successo, invece riuscì a farsi superare persino da Gianni Cuperlo, l’unico dirigente storico del partito disposto a farsi immolare sull’altare della sicura vittoria di Matteo Renzi. Da lì Civati ha perso un po’ la strada: ha iniziato un costante “lascio il Pd, anzi no” a tratti davvero stucchevole e si è sempre più appiattito sulle posizioni della minoranza storica del Pd.

Il momento simbolo di questo appiattimento sta tutto in una foto, che lo ritrae assieme a Cuperlo, Fassina e D’Attorre ai tempi della discussione sulla legge di stabilità, nel novembre 2014. Ecco, in quella foto c’è, secondo me, l’errore più grande che Civati potesse commettere: da battitore libero, sintesi perfetta del buono che c’è nel renzismo e del buono che c’è nella sinistra tradizionale, si è fatto gradualmente risucchiare dal male della minoranza Pd: l’incapacità di proporre un’alternativa che non sia solo “andare contro Renzi”, l’incapacità di indicare una rotta, di esprimere una leadership vera, di togliersi di dosso quella patina che rende gli esponenti della minoranza Pd un po’ (passatemi il termine) degli sfigati.

Nel momento stesso in cui Civati si è lasciato risucchiare in quel gorgo di Fassina&Cuperlo, a mio parere, ha perso tutta la sua ragion d’essere. Che era quella di rappresentare il nuovo che non si lascia appiattire sul renzismo.

Ora Civati lascia il Partito Democratico (sempre che non cambi ancora idea), per approdare, chissà, a Sel e da lì attendere che nasca una nuova “cosa di sinistra” destinata a un sicuro fallimento. Ecco, questo è un altro errore. Se si sta all’interno di un grande partito democratico del centro-sinistra, non lo si lascia perché si è distanti dalle idee del leader, ma si resta al suo interno a combattere perché le proprie idee, un giorno, diventino quelle della maggioranza.

Il congresso e le primarie, alla fine, sono lì proprio per quello.

@signorelli82

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