Partiti e politici
Le varianti Delta e Beta: il Presidente che vogliamo
Tiene banco nelle ultime settimane la possibilità di una candidatura di Silvio Berlusconi alla Presidenza della Repubblica.
La sola candidatura pone all’ordine del giorno l’ipotesi di una sua elezione. L’apertura delle due possibilità è un fatto imprevisto alla luce degli ultimi dieci anni della storia repubblicana e di quella del candidato.
Appena dieci anni fa Silvio Berlusconi si dimetteva dalla carica di Presidente del Consiglio, tra il disonore e le risatine maliziose delle cancellerie europee. Negli anni seguenti arrivavano una condanna, la decadenza dalla carica di senatore, l’ineleggibilità e l’affidamento ai servizi sociali.
Come si può essere giunti, allora, a parlare e discutere della sua salita alla carica più alta dello Stato?
Oltre all’ambizione e voglia di rivalsa personale, la legittimazione della candidatura di Berlusconi proviene dalla presenza di un’altra candidatura eccellente: quella di Mario Draghi.
L’elezione di Draghi a Presidente della Repubblica costituirebbe un fatto mai accaduto sinora; per la prima volta nella storia della Repubblica la carica di Presidente della Repubblica sarebbe attribuita a chi è, nel momento dell’elezione, Presidente del Consiglio.
Una simile novità aprirebbe ad uno stile presidenziale nell’esercizio poteri quirinalizi in buona parte inedito.
Non ci si può infatti seriamente aspettare che muovendo da Palazzo Chigi al colle più alto dello Stato il Presidente del Consiglio si spoglierebbe in un lampo della titolarità nella conduzione della politica di governo per indossare vesti da garante estraneo o lontano dai processi decisionali.
Del resto, l’elezione di Draghi sarebbe giustificata dall’esigenza di mantenere, per un settennato, un tutore al Colle, un amministratore di sostegno di governi con maggioranze instabili o composti da neofiti della politica o capi ultras.
Oltre che garante della Costituzione, Draghi al Quirinale opererebbe verosimilmente anche come garante della politica economica del paese.
Chiunque sia, dopo le elezioni del 2023, il Presidente del Consiglio, questi troverebbe in Draghi un interlocutore forte, capace di soluzioni altamente innovative ed efficaci pur nei limiti formali del quadro costituzionale.
Da questa prospettiva, allora, una Presidenza Berlusconi si pone come un’ipotesi equivalente; è infatti più che verosimile che, nell’esercizio dei poteri presidenziali, Berlusconi assumerebbe una conduzione più interventista di quelle sinora conosciute.
L’aggravante, rispetto alla “soluzione Draghi”, starebbe nella storia e levatura squisitamente politiche del candidato Berlusconi.
Questa caratteristica sposterebbe il nostro sistema verso un semi-presidenzialismo “a base parlamentare”, che implicherebbe almeno una consonanza permanente tra Presidenza della Repubblica e maggioranze parlamentari nel corso del settennato.
La convivenza di un “Presidente B” con una maggioranza di centrosinistra sarebbe difficile e ciò porterebbe a nuovi esperimenti o quesiti costituzionali; sebbene non sia prevista dal sistema costituzionale, un Presidente della Repubblica colpito da “sfiducia parlamentare” potrebbe davvero rimanere in carica?
Va da sé che l’ipotesi di un Presidente politicamente impegnato potrebbe piacere anche al di fuori dello schieramento di centro destra, solleticando le ambizioni di leaders politici più o meno giovani. La variante “Beta” o “Delta” a costituzione invariata rappresenterebbe forse persino un “giro di prova” per future riforme.
A ciò vanno aggiunte considerazioni di “breve periodo”; l’elezione di Berlusconi a Presidente libererebbe il suo elettorato, che diventerebbe bacino di voti per i partiti dell’area centrista.
Al di là dei tatticismi, la discussione sulla possibile elezione di Berlusconi o Draghi a Presidente della Repubblica deve tenere conto dell’impronta costituzionale che le due personalità lascerebbero nell’istituzione.
Ce lo ha ricordato il Presidente Mattarella: il ruolo, i poteri e gli spazi della Presidenza della Repubblica sono stati disegnati dai costituenti, ma i vari inquilini del Quirinali li hanno plasmati, riempendoli di concretezza e trasmettendoli ai loro successori.
Oltre che del solo nome, dunque, la scelta del Presidente deve tenere conto del ruolo attuale del Quirinale o di quello nuovo che gli si vorrà attribuire.
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