Partiti e politici
Le ragazze 5s fanno boom: al Pd resta solo la vittoria al sangue di Sala
E il lanciafiamme, nuova metafora violenta dopo quella fondativa della rottamazione, adesso, Matteo, come lo usi? A chi lo rivolgi, dove lo metti, contro chi lo punti?
Non uso neanche l’ipocrisia di chiedere permesso per il tu: siamo circa coetanei (io un poco più giovane, ma via, non te lo farò pesare), abbiamo iniziato a fare politica negli stessi anni, pensando più o meno alle stesse parole. Sono uno di quelli che ha guardato con composita simpatia alla tua sfida alla vecchia ditta, al suo improbabile mix di vecchi interessi rappresentati che non erano mai i nostri. A quei linguaggi arcaici e autoreferenziali della politica. A quella gente cui brillavano gli occhi quando si ricordava il 68, e noi (io, almeno, parlo per me) mi ricordavo solo la bomba di Capaci e poi le legnate incolpevoli viste a Genova, nel 2001.
Una volta, meno di dieci anni fa, quando ancora facevo politica, saresti stato il segretario del “mio” partito, e del partito di chi si sente iscritto, culturalmente, al campo dei progressisti europei. Quando facevo politica, avrei scritto le mie idee al segretario. Adesso, che sono un cittadino che professionalmente cerca di informare, un cittadino con le sue idee e la sua cultura politica, un cittadino che non ha ancora visto sorgere un’alternativa di governo credibile al tuo percorso confuso e poco credibile, mi rivolgo a te. Sei il segretario del Partito che ho votato più spesso, assieme al Partito Radicale; in entrambi i casi, preciso, ho votato sigle figlie o madri di quelle storie politiche, sentendomi e definendomi un liberalsocialista. Quindi: uno che crede nella libertà delle persone, anzitutto, come bene da tutelare, valorizzare e fare esplodere; che crede nella politica come strumento di governo dei rapporti di forza, al compromesso sempre possibile per quanto faticoso tra capitale e lavoro, con un’attenzione particolare per chi lavora e genera lavoro. Ho creduto a una politica di riformisti pazienti, ma tenaci ed esigenti, e rotti al compromesso ma intolleranti con l’intolleranza e la presa per il culo. Ho creduto e credo alla professionalità della politica contro il populismo facile, contro chi grida “casta”, ma non ho potuto difendere chi campa di politica senza aver mai saputo fare niente d’altro. Ho creduto e credo che in Italia ci sia un problema di squilibrio tra chi lavora e chi campa di rendita, tra chi genera valore facendo cose e chi non lo fa. A tutto vantaggio dei secondi. Uno squilibro tra produttori e rentiers.
La faccio breve: era per tutte queste ragioni, ampiamente insoddisfatte da chi era arrivato prima, che pensai che affidare a un nuovo destino il percorso dello schieramento progressista in Italia fosse una buona idea. L’unica praticabile, peraltro, e quindi necessaria. Oggi, di fronte a questa sconfitta politica evidente, generata nel cuore del tuo progetto politico, nell’anima della tua “idea” (non ti offendere, le virgolette sono d’obbligo, le parole sono importanti, diceva quello) di partito non posso che prendermela con te. Questa storia l’hai partorita tu. Il Partito in cui volevi portare il lanciafiamme è lo stesso che hai già rottamato, asfaltato, e via chiacchierando, piazzando i tuoi amichetti qui e i tuoi fedelissimi là. Premiando gli obbedienti dove c’erano, e lasciando al timone i vecchi dove non avevi alternative. Cosa ne sapevi delle nostre città, delle nostre Torino, delle nostre Milano, della nostra capitale, Roma, di una grande metropoli mediterranea come Napoli, dove il tuo Pd non tocca la palla proprio come quello di Bersani, della remota Trieste dove il centrosinistra vinceva e adesso perde, dei conflitti sociali che le animano, dell’assoluto distacco dalla politica di cui sei percepito, semplicemente, come un tassello in più, come l’ultimo capitolo della storia che proclamavi di voler cambiare?
Mi rivolgo, sia chiaro, al capo del partito prima che al capo del governo: hai testardamente difeso il diritto-dovere di essere entrambe le cose, adesso non fare però quello che deve fare il culo al partito. Perché il capo del partito sei tu da quei 20 mesi, ti trovi? E quindi è intuile che ci racconti la storia che mandi il commissario a Napoli, o che se avessi guidato tu il percorso a Milano il Pd avrebbe vinto in scioltezza al primo turno, o che a Roma è colpa di Marino, di Orfini, o della buonanima di Casaleggio. Il capo sei tu, l’hai voluto affermare oltre ogni misura, sei il capo del partito e quello del governo, e adesso te la vedi. Te la sbucci, e ti assumi le tue responsabilità.
Già, perché vedi, Matteo, noi non capiremo niente mentre tu capisci tutto. Ma la scena stavolta è netta, e non puoi raccontare la favoletta del gufo rosicone. Puoi, se vuoi, ma fai la figura dello stupido, e siccome sei tutto fuorchè stupido, sicuramente non lo farai. Lo sai anche tu che queste elezioni, questa Roma persa malamente – e te l’avevamo detto, per la miseria -, questa Torino perduta incredibilmente, questa Milano che ha vinto da sola, senza di te, sono un insuccesso. Un tuo insuccesso. Lo sai anche tu che il cammino verso questo assurdo iter di riforme costituzionali cui ti sei impiccato era già faticoso prima, ma adesso lo è anche di più. Prenditi del tempo, pensaci, ricordati che la politica si fa per fare il bene del paese e non per perpetuare il proprio potere. Non ci crederai, stasera meno che mai, ma chi te lo dice ti augura fortuna: ma non più di quella che ti saprai meritare, questo è ovvio.
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