Partiti e politici

Le piccolezze della politica di provincia, mentre il mondo danza sul baratro

15 Aprile 2024

Scorrere le notizie della settimana appena passata, guardando ai giorni che ci aspettano, mette allo specchio la dimensione dei nostri problemi nazionali, la nostra risalente inazione, le nostre peggiori attitudini di sopravvivenza, con i guai di un mondo che sembra sempre più disponibile alla catastrofe senza che ci siano potenti del mondo abbastanza saggi, o abbastanza potenti, da poter fermare la macchina lanciata verso il baratro.

La settimana della politica italiana è stata attraversata, come un collante, dagli scandali riguardanti le amministrazioni pugliesi e la politica piemontese. Il campo da gioco è in entrambi i casi quello del Partito Democratico, allargato per definizione all’ipotesi di coalizione col Movimento Cinque Stelle. In entrambi i casi, mentre non è dato sapere come finiranno i processi penali e le inchieste che riguardano gli ex assessori, i politici e i lobbisti citati, è abbastanza chiaro lo spartito politico su cui si recita. Il Partito Democratico di Elly Schlein si trova infatti in entrambe le regioni, e fondamentalmente in tutta Italia, a tessere faticosamente la tela di un’alleanza col Movimento 5 Stelle, senza la quale non c’è alcuna possibilità matematica di competere con la destra unita a livello nazionale, mentre l’ipotetico alleato alza continuamente la posta, e sfrutta ogni occasione per marcare differenza e far saltare accordi che sembrano già presi. In particolare, le due vicende dalle quali siamo partiti, sembrano fatte apposta per consentire al Movimento di giocare la parte preferita fin dalle origini: quella di chi castiga presunte ruberie e scorrettezze etiche e morali della “vecchia politica”. Come se anche il Movimento non fosse ormai parte dell’apparato da un po’. Ma insomma, volendo astrarci dalla triste cronaca, le recenti vicende riportano sul tavolo una questione ormai consolidata: il Movimento guidato da Conte vuole costruire davvero un percorso politico condiviso col Pd, o vuole, piuttostto, prenderne il posto al centro della scena ed egemonizzare l’opposizione a Giorgia Meloni, costi quel che costi? La stessa domanda, naturalmente, si potrebbe fare anche al Pd, non tanto a Schlein quanto a un’intera dirigenza e a un corpo grosso di militanza da sempre diffidente, se non sprezzante, nei confronti degli epigoni di Grillo e Casaleggio. Ripartire dalle questioni fondative, dopotutto, non fa ma mai male.

È questo del resto il concetto espresso da Umberto Bossi, proprio lui, quando rinfaccia a Salvini di aver dimenticato il mitico “Nord”. Lo ha fatto alla vigilia delle celebrazioni per il 40esimo compleanno del partito, e la polemica tra il vecchio Patriarca Fondatore e il “Giovane” figlio di quella storia, diventato capo, è stata così al centro della scena. Anche qui, volendo, uno sforzo di astrazione potrebbe aiutare a inquadrare la questione. È sicuramente vero, come dice Bossi, che la “nuova” Lega di Salvini, persa tra fascinazioni putiniani e sogni di ultradestra nazionale, aveva perso di vista la ragione originaria della ditta. Altrettanto vero è, come dice Salvini, che lui aveva raccolto un partito in liquefazione, col cucchiaino, e che il sogno nordista era stato travolto dagli scandali di famigli e amici. Ma ancora di più, si potrebbe dire, sarebbe importante riflettere su cos’è rimasto dell’antica questione settentrionale, dell’antica questione meridionale, di quali squilibri davvero oggi attraversano il paese. Agli anziani, come Bossi, capita di pensare che i bisogni e le battaglie siano quelle di quand’erano giovani e forti. Può succedere, tuttavia, che il mondo attorno cambi, e se anche le nuove parole d’ordine non sono quelle giuste, non è detto che quelle antiche funzionino meglio.

Tra le cose che funzionano sempre, nel nostro paese, c’è la Rai. No, non nel senso che funziona bene. Ma nel senso che esiste, resiste, e chi comanda la vuole per sè, in modo più o meno pacato o velato. Questa volta meno. Il TG1, il più importante telegiornale italiano, è diretto da un professionista storicamente vicino alla storia della destra romana, il mondo nel quale è nata e cresciuta Giorgia Meloni. Vale la pena di ricordarlo, non perchè desti scandalo, ma per sottolineare quanto esplicita sia stata, dall’inizio, la volontà di una presa esplicita. Non può sorprendere quindi che, nei giorni passati e in quelli futuri, si siano viste all’opera manovre, da parte della maggioranza, volte a garantire al governo uno “statuto speciale” all’interno della Rai. Una garanzia – abbiamo letto – che il governo potesse spiegare quel che sta facendo al di là della dialettica della par condicio, del rapporto tra maggioranza e opposizione. Come se il governo non fosse sostenuto dalla maggioranza, e non avesse di fronte un’opposizione.

Sarebbe interessante, in questo quadro, poter discutere dialettic amente invece di una notizia della settimana passata, che riguarda però molti anni che abbiamo alle spalle ma ancora di più, drammaticamente, il futuro del nosto paese. Nella settimana passata infatti abbiamo letto l’ennesimo annuncio preoccupante del ministro dell’Economia, Giorgetti, che ha spiegato che non ci sono soldi, e che – come altri paesi europei, per fortuna del governo – il DEF, cioè il Documento di Economia e Finanza, vale a dire il principale strumento della programmazione economico-finanziaria in Italia, sarò presentato per il momento senza dettaglio, cioè senza numeri. Lasciando tutto com’è dal punto di vista delle previsioni di spesa e di crescita, il nostro già enorme debito pubblico crescerà un po’, ma poi non troppo. Se tutto va bene tireremo a campare ancora un po’, parrebbe. Prima di dare dati scoraggianti e di annunciare tagli, è chiaro, ci sono le Elezioni Europee. Del resto, se abbiamo sempre rinviato le decisioni, di campagna elettorale in campagna elettorale, perchè smettere di fasrlo proprio adesso?

E mentre altri lavoratori muoiono, in Italia, ricordandoci ancora una volta, purtroppo invano, che di lavoro si continua a morire, il mondo si incarica di ricordarci che esiste la guerra, esistono gli odi nazionali e internazionali, religiosi ed etnici. D’improvviso, una notte, uno sciame di droni e missili ha attraversato il cielo del Medioriente, e da Teheran si è diretto in forze verso Israele. È sembrato fatto enorme e nuovo, ma è solo coerente con il degradare lento e costante di quell’area nevralgica verso un’altra scala di conflitto. Ci ha ricordato che la nostra provincia e le sue futili nefandezze sono isola felice nella storia e nella geografia rispetto alla teocrazia, alla guerra, alla vita nei campi profughi, al terrorismo e all’illusione di sconfiggerlo con la forza. Ci ha sostenuto una volta di più nel goderci il nostro piccolo, anacronistico privilegio europeo. Sperando che duri.

1 Commento
  1. Stefano Feltri, oggi, sui suoi appunti, scrive quasi le stesse cose, ma in modo ancora più duro. Anche lui confronta la ristrettezza della politica italiana con quanto succede invece nel mondo. Ma del resto gli italiani quando mai si sono interessati al mondo? Nn voglio trovare la pastasciutta anche a Hong Kong?

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