Partiti e politici
Le pagelle della campagna: anche qui vince Giorgia
Sebbene molti commentatori abbiano in generale definito, almeno finora, l’attuale campagna elettorale come piuttosto “fiacca”, si possono riscontrare alcune significative differenze nel modo in cui essa è stata gestita dai più rilevanti attori politici.
Giorgia Meloni, prima fra tutti, essendo considerata sia dalle rilevazioni demoscopiche che dalla percezione dell’elettorato come la quasi sicura vincitrice della competizione, ha improntato la sua campagna all’insegna del tentativo di accreditarsi sia a livello nazionale che internazionale come la leader di un partito responsabile e “non-eversivo”. Il suo passato di vicinanza con la destra post-fascista l’ha indotta a crearsi un’immagine attuale affatto differente, ribadendo in più occasioni la sua fedeltà all’Europa, alla Nato, al patto atlantico e la sua alterità nei confronti della Russia di Putin (benché in qualche occasione non sia stata del tutto convincente). Un’immagine rassicurante che ha comunque contraddistinto una comunicazione volta più a differenziarsi dal suo principale alleato leghista che dalle altre forze in campo. Voto: sette più.
Enrico Letta è stato protagonista di parecchi errori sia nelle scelte tattiche delle alleanze che nella strategia comunicativa. Per quanto riguarda il primo aspetto, egli ha rinunciato sin da subito alla partnership con il Movimento 5 stelle, imputato di aver permesso, se non di aver causato direttamente, la fine del governo Draghi. Una possibile alleanza questa che probabilmente avrebbe permesso ad entrambe le forze politiche di essere maggiormente competitive nei confronti della coalizione di centro-destra. Neppure il tentativo di apparentarsi con Calenda ha dato risultati positivi, preferendogli inspiegabilmente Fratoianni, che è peraltro sempre stato all’opposizione del governo uscente ed è accreditato di un risultato elettorale certo insufficiente per rendere competitiva la coalizione di centro-sinistra. Dal punto di vista comunicativo, Letta ha costantemente cercato di incanalare la campagna sull’antagonismo bipolare Fratelli d’Italia-Partito Democratico, invitando ad una chiara scelta di campo, grazie anche ad una serie di escamotage giocati sulla contrapposizione valoriale e cromatica tra nero e rosso, ma senza altre parole d’ordine capaci di conquistare significative aree di elettorato ancora incerte. Voto: cinque.
Matteo Salvini è sembrato troppo spesso la controfigura di quel leader che in occasione delle elezioni europee è stato capace di portare la Lega al suo massimo storico, con un consenso di almeno un terzo dell’elettorato attivo. L’abbandono della sua efficace precedente comunicazione, improntata sulla cosiddetta “bestia”, lo ha visto in molte occasioni come incapace di definire la collocazione della Lega, sia in Italia che a livello internazionale. Nel nostro paese, non è apparso chiaro se volesse continuare l’esperimento di una Lega Nazionale, come appunto nel 2019, o appellarsi maggiormente al suo antico elettorato “padano”; nel contesto internazionale, Salvini si è sempre mostrato incerto tra l’appoggio alla resistenza ucraina e la desistenza nei confronti delle sanzioni verso la Russia. Una comunicazione piuttosto “oscillatoria” che ha comportato un significativo calo di consensi. Voto: tra il quattro e il cinque.
Carlo Calenda è stato anch’egli protagonista di comportamenti ondivaghi: con il PD, prima con l’ipotesi di allearsi con Letta per poi chiudere la collaborazione a causa della presenza di Fratoianni; con Italia Viva, prima attaccando frontalmente Renzi (“mai e poi mai starò con lui”) per poi allearcisi in una conclusiva partnership elettorale. Sebbene le sue proposte politiche siano state sufficientemente articolate, prima fra tutte la cosiddetta “agenda Draghi”, le sue capacità comunicative non sembrano aver avuto presa su quote sufficientemente ampie di elettorato, tali da poter farlo diventare realmente decisivo per le scelte di governo future. Voto: sei.
Giuseppe Conte ha dovuto fin da subito fronteggiare una tendenza di costante decremento dell’elettorato pentastellato, passato dal quasi plebiscito delle precedenti politiche al dimezzamento degli anni successivi. La sua strategia, volta a ridefinire il progetto del Movimento 5 stelle, è comunque riuscita a ridare un minimo nuovo slancio alle scelte in favore della sua compagine politica. Dall’antico generico messaggio contro la “casta” e l’establishment, Conte è riuscito a fornire una proposta più definita e coerente, a favore delle classi più indigenti (ribadendo la scelta del reddito di cittadinanza), di una decisa transizione digitale democratica, ecologista e ambientalista (l’orizzonte 2050), dando un’immagine del suo movimento/partito maggiormente chiara. Scartata per il momento l’ipotesi di alleanza con il Pd, non è peraltro da escludere che questa venga riattivata nei futuri anni di opposizione al centro-destra. Voto: sei e mezzo.
Silvio Berlusconi: tik tok tak e qualche barzelletta. Nulla più, forse preoccupato più del suo Monza che di Forza Italia, destinata probabilmente a scomparire, tra qualche anno senza di lui, tra i futuri protagonisti della politica italiana. Voto: ingiudicabile.
Università degli Studi di Milano
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