Partiti e politici
Le pagelle 2021. PD e quel (poco) che resta della sinistra
Un breve resumè delle valutazioni fin qui date sull’operato delle principali forze politiche, dalla migliore alla peggiore, per questo 2021 che se ne va, forse l’anno peggiore per l’intero mondo politico, incapace senza Draghi e Mattarella di dare una spinta propulsiva al paese o di affrontare le difficoltà contingenti. Ecco i voti, dunque. Fratelli d’Italia: 7 e mezzo; Forza Italia: 7 meno; Lega: 5 e mezzo; Movimento 5 stelle: 5; Italia Viva: 4 (ma 8 a Renzi).
Valutiamo ora il Partito Democratico, con un voto pari a 6 e mezzo. Un giudizio che, come per Forza Italia nello schieramento opposto, deriva comunque dalla sua costante affidabilità, una sorta di “usato sicuro”, ma senza grandi slanci né proposte lungimiranti che cerchino di dare una propria impronta al futuro che ci attende. A fronte dei problemi emergenti, dalla globalizzazione all’immigrazione di massa, dalle difficoltà economico-occupazionali a quelle socio-sanitarie, il PD si limita a gestire il presente, a mantenere una politica di prudenza e stabilità, senza mai indicare una possibile via di superamento della quotidianità, senza parole d’ordine che riescano a intercettare le paure e le angosce di una parte significativa dell’elettorato.
Sappiamo, ormai da anni, che il referente principale del partito non risiede più nei ceti meno abbienti, nel vecchio proletariato, negli operai delle piccole e medie aziende, che trovano maggiore soddisfazione e interesse nelle aree di centro-destra, o in quelle di destra, nel populismo, nel sovranismo, nell’anti-europeismo. Votano a sinistra o per il centro-sinistra gli elettori più benestanti, più scolarizzati, che risiedono nelle più ricche aree urbane, che sono maggiormente strutturati per far fronte alle difficoltà economiche ed occupazionali del mondo che sta cambiando. E il discorso del Pd pare rivolgersi più a loro, al di là dei proclami ideologici, che al resto della popolazione, senza poter peraltro ambire a diventare maggioranza in un paese che, come diversi altri paesi occidentali, vede in quelle fasce una popolazione di gran lunga minoritaria.
Che fare, dunque? La prima cosa da fare è quella, quanto meno, di rendersi conto della propria posizione piuttosto elitaria; la seconda, immediatamente successiva, è quella di cambiare le proprie parole d’ordine, di renderle più appetibili agli altri elettorati, prefigurando un mutamento sociale che possa trovare consensi anche in quei settori oggi vicini alle destre. Una sorta di rivoluzione, certo, che non può più aspettare a lungo.
Oh, già, dimenticavo il resto della sinistra. Semplice: non pervenuta. Buon anno!
*Università degli Studi di Milano
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