Partiti e politici

Le insidie del Rosatellum

31 Gennaio 2018

Le polemiche sulla composizione delle liste elettorali hanno fatto sorgere anche nell’animo dei più distratti un inquietante interrogativo: come funziona davvero il Rosatellum (bis)?

Nella cabina elettorale ciascuno di noi si troverà davanti una scheda (due per i più anziani, che votano anche per il Senato) come quella qui sopra: una serie di riquadri sovrastati da un nome, divisi in riquadri più piccoli contenenti un simbolo e un breve elenco di nomi. Come raccapezzarsi?

Ogni riquadro grande rappresenta un partito o una coalizione di partiti che sostengono insieme un candidato uninominale (il nome in alto) e presentano ciascuno una lista bloccata di candidati da eleggere con il proporzionale (l’elenco di nomi accanto al simbolo del partito): un terzo dei seggi è infatti attribuito con il primo metodo (viene eletto nel collegio il candidato che prende almeno un voto in più di ciascun avversario), due terzi con il secondo (i seggi che spettano a ciascun partito sono in proporzione alla percentuale di voti ottenuti).

E’ importante sapere che l’elettore può tracciare una sola croce sulla scheda: o sul nome del candidato uninominale, o sul simbolo di uno dei partiti che lo sostengono. Il segno però “vale doppio”: in entrambi i casi viene infatti assegnato sia un voto al candidato uninominale, sia un altro voto alla coalizione che lo sostiene (nel primo caso) o al partito scelto (nel secondo caso). Non è quindi consentito il voto disgiunto: se l’elettore mette una croce sia su un candidato uninominale che su un partito che non lo sostiene (e dunque sta in un riquadro diverso) la sua scheda elettorale viene annullata (se invece le due croci sono “coerenti”, cioè su un candidato uninominale e su un partito che lo sostiene, la scheda è valida).

Di fatto, dunque, l’elettore può solo scegliere una lista bloccata di candidati, in cui il primo è eletto se supera tutti i rivali, mentre gli altri lo sono in base alla quota di consenso raccolta dal loro partito, secondo l’ordine con cui sono elencati nella lista. Ciò rende molto difficile la scelta se l’elettore non apprezza nello stesso modo tutti i candidati: ad esempio, se conosce e stima quello nell’uninominale ma non lo convincono il partito o la coalizione che la sostengono; oppure se nella lista del proporzionale ci sono sia aspiranti parlamentari meritevoli che “riciclati” e portaborse. In questi casi (purtroppo non infrequenti) occorre scegliere il “male minore”: o rinunciare a votare chi si apprezza per sbarrare la strada ai candidati “sgraditi”, o  accettare di eleggere questi ultimi per portare in Parlamento i primi.

L’elettore più accorto potrebbe tentare di orientare la sua scelta provando a indovinare chi ha più chances di entrare davvero in Parlamento; ma i meccanismi machiavellici del Rosatellum glielo rendono quasi impossibile.

Innanzitutto, sono permesse le pluricandidature: un candidato dell’uninominale può presentarsi anche in più liste del proporzionale (fino a cinque) che possono essere sparse in tutto il Paese. Poiché moltissimi big di partito hanno approfittato di questa possibilità (un vero e proprio “paracadute”, a volte multiplo, per rimediare all’eventuale tonfo nell’uninominale), diventa ben difficile azzeccare il collegio in cui ciascuno verrà effettivamente eletto (in base ai voti ricevuti).

Inoltre, il procedimento di attribuzione dei seggi proporzionali è piuttosto complicato. Si tratta di un metodo “top-down“: nel caso della Camera, il numero di deputati che spettano a un certo partito dipende dalla percentuale che quel partito ottiene a livello nazionale – ad esempio, con il 10% avrà diritto a circa 38 dei 386 seggi proporzionali in palio (per il Senato valgono invece le percentuali a livello regionale). La ripartizione dei seggi tra i vari collegi avviene con un meccanismo complesso (una spiegazione si può trovare qui) che privilegia quelli in cui il partito è stato più votato, ma con un possibile “effetto flipper” che rende il tutto ancora più aleatorio.

Infine, a causa del disegno arzigogolato dei nuovi collegi risulta arduo ai “non addetti ai lavori” capire quale partito potrà prevalere nel proprio, basandosi sugli andamenti “storici” del consenso o su sondaggi elettorali a scala molto più grande.

In definitiva, quindi, per un comune mortale è più probabile vincere al lotto che prevedere correttamente cosa succederà nel suo collegio; da ciò discendono alcune conseguenze piuttosto ovvie.

La prima è che è inutile tentare il “voto utile”, cioè provare a sbarrare la strada del Parlamento a un certo candidato uninominale votando per il suo rivale più quotato. Il candidato sgradito, seppure “uscito dalla porta” dell’uninominale, potrebbe infatti “rientrare dalla finestra” del proporzionale grazie alle pluricandidature: oltre il danno, la beffa!

La seconda è che non bisogna lasciarsi scoraggiare dalla presenza di un candidato “indesiderato” in una lista per altro apprezzabile: costui potrebbe essere bocciato (se è nell’uninominale) o eletto altrove (nel proporzionale), lasciando spazio a chi lo segue nella lista. Ovunque, nei primi posti dei listini si trovano parlamentari uscenti “paracadutati” e  personaggi famosi cooptati, insieme a “vecchie glorie”, giornalisti schierati e fedeli portaborse; ma boicottarli potrebbe compromettere le possibilità di elezione dei candidati più validi sistemati “in coda”, spesso politici conosciuti e stimati sul territorio o esponenti della vera “società civile”.

L’ultima considerazione è che, poiché la rappresentanza parlamentare di ogni partito dipende dal suo consenso su scala nazionale (regionale per il Senato), il voto espresso in un luogo qualsiasi “vale” anche per tutto il resto del Paese: forse il candidato che vorremmo tanto poter votare è in un collegio distante dal nostro ma, scegliendo il suo partito, aumentiamo comunque le sue possibilità di essere eletto.

Concludendo, è giusto ricordare che il voto a un candidato o a un partito è anche un voto al programma elettorale che essi esprimono. Al di là dell’apprezzamento per i singoli individui chiamati a rappresentarci, ciò che conta sono soprattutto i valori, le idee e le proposte concrete che essi si impegnano a portare nelle aule del Parlamento: perciò ha senso orientare la nostra scelta prima di tutto su questi. Agli aspiranti deputati e senatori va chiesta coerenza con quei contenuti politici: ma questo è un altro discorso, che ci porterebbe troppo lontano…

(immagine tratta da Wikimedia Commons, NiloGlock )

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