Partiti e politici

Le “gigginarie” sono state un flop, ma ora Grillo ha un capro espiatorio

24 Settembre 2017

Dei 37.442 votanti dichiarati alle consultazioni online per la scelta del “candidato premier” del Movimento 5 Stelle, 30.936 avrebbero votato per Luigi Di Maio. Un risultato assai scontato e già da giorni al centro di polemiche e sfottò, dato che il Vicepresidente della Camera era di fatto l’unico candidato conosciuto delle primarie grilline ed era stato affiancato per l’occasione da improbabili figuranti che hanno goduto di qualche ora di semi notorietà per poi tornare nell’oblio. Un risultato “azzoppato” da numeri oggettivamente insoddisfacenti (se rapportati a una base elettorale di 140mila iscritti alla piattaforma Rousseau) e sul quale pesano i tweet dell’hacker “@r0gue_O”, che a urne virtuali ancora aperte mostrava su Twitter di aver votato decine di volte per Di Maio, palesando ancora una volta la vulnerabilità dello strumento.

Tuttavia, malgrado l’affluenza flop e i tanti nomignoli con cui “il popolo della rete” ha bollato le elezioni virtuali grilline (da “buffonarie” a gigginarie”), Beppe Grillo e la Casaleggio Associati hanno celebrato l’incoronazione del figliol prodigo dal palco della kermesse “Italia 5 Stelle”, come già scritto da tempo sul loro copione. Della due giorni di Rimini, oltre alla suddetta investitura, resteranno le performance musicali di Grillo, gli insulti e gli spintoni ad alcuni giornalisti colpevoli di essere lì a fare il loro lavoro, l’umiliante emarginazione di Fico e dei dissidenti, i braccialetti con codice a barre per schedare i partecipanti e l’intervento visionario del sindaco di Roma, Virginia Raggi, che ha affermato candidamente: «Roma sta migliorando, ce lo dicono i cittadini quando andiamo per strada».

Ma a parte le note di colore e il pezzo di satira recitato dalla prima cittadina della Capitale, l’investitura di Luigi Di Maio segna un punto politico nella ormai decennale storia del Movimento 5 Stelle. Da oggi c’è una faccia tra le facce, un attore tra gli attori, che assume il ruolo di “leader politico virtuale”, lasciando – almeno apparentemente – a Grillo e alla struttura della Casaleggio Associati la sola gestione organizzativa del partito. Per la prima volta, il partito dei “non politici” si fa rappresentare da qualcuno che siede in Parlamento e si candida – ignorando la Costituzione, ma non è stato il primo e non sarà l’ultimo – alla Presidenza del Consiglio.  Ma siamo di fronte a un vero leader? Difficile crederlo.

Per come è infatti strutturato il M5S, un cartello elettorale dove ogni azione di eletti e consulenti è comandata dalla società proprietaria che a sua volta decide la linea politica seguendo l’andamento dei trend, il ruolo del nuovo leader appare quello del prestanome su cui far gravare errori, sconfitte, inchieste, ricorsi al Tar e fallimenti delle amministrazoni locali come quello di Roma. In fondo è stato lo stesso Beppe Grillo, rivolgendosi tra il serio e il faceto a Di Maio, a esplicitare il concetto dal palco della kermesse: «Da domani il capo politico del M5S non avrà più il mio indirizzo, tutte le denunce arriveranno a te».

Nel mondo reale, i “capi” sono i primi artefici delle vittorie o – al contrario – i primi responsabili delle sconfitte di ciò che comandano. Ben altro accade nel mondo virtuale regolato dalla “democrazia della rete”, dove il “capo” sembra semplicemente il capro espiatorio, la pedina su cui far ricadere gli effetti delle decisioni di chi comanda sul serio. Di chi gestisce in maniera assai poco trasparente quei pochi ma preziosissimi click che decidono le sorti del “capo” di turno.

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