Partiti e politici

Le elezioni del Pd le deciderà il nostro senso di colpa

7 Febbraio 2018

C’è uno spazio di fragilità in ogni elettore, un parte irrazionale su cui non ha il totale controllo. È uno spazio aperto a sollecitazioni esterne, per lo più mediatiche, dunque puramente emozionali, non riconducibili interamente a schemi e logiche politiche. È lo spazio del senso di colpa. Questo spazio aperto può decidere del destino delle elezioni nazionali del 4 Marzo. Può decidere soprattutto della tenuta o del naufragio del Partito Democratico, il partito che a sinistra ha le maggiori aspettative di governo e di governabilità. Buona parte di quell’enorme stagno di potenziali astensionisti – oggi siamo nell’ordine del 35 per cento – avrà a che fare con un sentimento inedito e in qualche modo eccezionale: l’idea che nel Paese si stia formando una specie di condizione emergenziale che ha bisogno di risposte certe, una sorta di richiamo al supremo senso di responsabilità che una società democratica e organizzata mette in campo quando i suoi valori sono seriamente in pericolo, quando c’è un nemico alle porte.

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Se è possibile banalizzare una questione di tale portata, c’è una domanda basica e pesino irrispettosa che andrà formulata ad ogni elettore che in queste settimane mediterà di astenersi e che ha in Matteo Renzi il centro del problema: la scarsa considerazione per il politico, l’antipatia per la persona, la disapprovazione per le sue politiche, possono essere motivi sufficienti per togliere l’acqua al pozzo del Pd e facilitare l’ingresso dei nuovi fascismi? Voltiamo la questione solo sul Partito Democratico non perché le altre formazioni non valgano, per carità, ma è indubitabile che una solidità di governo può passare (eventualmente) soltanto da lì.

Sul piano della teoria e della ragionevolezza, si potrebbe anche sostenere che più l’elettore è responsabile, più si informa, più è politicamente attrezzato, e meno dovrebbe cadere nella tentazione demagogica di farsi sopraffare dal senso di colpa. E dunque, se ha raggiunto la dignitosa convinzione che nessuna opzione sul mercato di questa politica è soddisfacente per lui, potrà esercitare del tutto serenamente il suo diritto all’astensione. Questo, perché gli strumenti culturali della profondità di ragionamento, dell’analisi, della serenità con cui valuta i fenomeni, sono una stella polare quando tutt’intorno regna la confusione. Ma allo stesso tempo, le belle virtù sovradescritte, potrebbero essere valutate proprio nella loro accezione contraria, semmai, appunto, come un segnalatore di pericolo, come l’ovvio uso del discernimento politico in un chiaro momento di destabilizzazione.

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Toccherà dunque proprio a chi è attrezzato culturalmente la scelta di campo: votare comunque il Partito Democratico, anche se con moltissima fatica e scarsissima convinzione, o restare convintamente astensionisti? (Sì, c’è poi la scelta vagamente paracula della Bonino alleata di Renzi, ma qui il senso di colpa deraglia in macchietta).
Come mantenere in equilibrio la nostra insopprimibile fragilità di fronte a certe fatti di cronaca (per esempio Macerata), questa sarà la vera conquista in vista del 4 Marzo. All’elettore viene chiesta un’impresa forse più forte delle sue potenzialità culturali: valutare con estrema chiarezza la portata dei pericoli che oggi vengono evocati dai mezzi di informazione e “urlati” da tutte le forze politiche. Ne siamo in grado, qualcuno ci aiuta? La prima domanda che è utile porsi è forse quella fondamentale: crediamo in tutta coscienza, per quello che sta accadendo in Italia, che vi sia alle porte il pericolo di un nuovo fascismo? A cui ne segue un’altra, che è poi l’ovvia conseguenza: in caso di vittoria delle destre, abbiamo seri dubbi sulla saldezza della nostra democrazia? Da queste due risposte, ne scaturiranno i conseguenti comportamenti nelle urne. Temiamo però che neppure la logica e la ragionevolezza degli elettori più culturalmente attrezzati, servirà a tamponare interamente il nostro senso di colpa, il vero, nuovo, partito, che si profila all’orizzonte.

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