Partiti e politici
Lavorare con Renzi: scappano i bravi (Boeri, Perotti), restano i carrieristi
Quando un economista come il professor Boeri, indicato come possibile ministro di plurimi governi e oggi “solo” presidente Inps, sceglie la presentazione del Bilancio sociale dell’istituto, una giornata dunque molto significativa, per dire semplicemente che avrebbe tanto voluto fare uno splendido lavoro per il Paese ma che questo governo gliel’ha impedito, mettendo insieme con lo sputo l’ennesima riforma provvisoria e non «l’ultima» che lui aveva garantito prendendosi quella responsabilità, allora c’è soltanto da far partire il cronometro e aspettare serenamente che anche questa risorsa per il Paese, che Renzi si era appuntata sul bavero della giacca come legion d’onore, abbandoni la nave e nemmeno con tanti saluti.
Del resto, è il medesimo destino che è toccato in sorte all’altrettanto ricercatissimo professor Perotti – per una stranezza del destino “collega” di Boeri nella Voce.info – il quale affiancò Yoram Gutgeld nella famigerata spending review e che poi, diverengenza dopo divergenza, è sparito dai radar per via di insormontabili incomprensioni che infatti hanno alleggerito i tagli di un cinque-sei miliardi. Talmente sparito che persino l’ottimo Federico Fubini, vice direttore ad personam del Corriere della Sera, non lo nomina neppure in una intera pagina di intervista a Gutgeld nè si perita di chiedere al commissario che (brutta) fine abbia mai fatto il Perotti. Sembra una scena di «Amici miei» e invece è tutto vero.
Se c’è una morale in tutto questo, e noi pensiamo ci sia, è che nel governo Renzi è in atto, sin dalla sua fondazione, una sorta di protezionismo («Politica volta a proteggere la produzione nazionale dalla concorrenza straniera») applicato alle persone e alle idee che queste persone intenderebbero sostenere, non per civetteria ma solo perchè su quel patrimonio hanno costruito solide carriere. E dunque circondarsi soltanto di collaboratori solidamente votati alla causa, la causa di Renzi, non esattamente problematici, nè troppo formati, vuoi mai che possano metterti in difficoltà o mettersi addirittura di traverso. Persone testate dunque, ancor prima che sulla solidità delle loro professioni, certamente acclarata, sulla loro sottile, irrinunciabile, predisposizione al carrierismo, che è poi quel liquido amniotico così avvolgente, dall’effetto stupefacente, che ti permette di vivere in una sorta di sospensione intellettuale anche quando le idee del Capo non collimano esattamente con le tue.
In questa nuova Woodstock dei cervelli, il buon Renzi ha certamente un potere taumaturgico, vuoi per la sua ben nota capacità di entusiasmare, vuoi per l’intrinseca attrattiva del potere, che naturalmente richiama gruppi di professionisti all’uscio di Palazzo Chigi sperando in una chiamata nominale. In questo avvitamento – il circondarsi di persone che non ti metteranno mai in difficoltà – il presidente del Consiglio ha però dei suoi momenti particolarmente tormentati, nei quali si rende conto, o comunque ne paventa il pericolo, che un simile appiattimento (sulle sue posizioni) non faccia mai spiccare il volo alla creatura governo e soprattutto ne riduca all’esterno la portata complessiva. È un pensiero buono e giusto e liberale quanto basta perchè a scadenze improvvise e dettate da contingenze non prevedibili, egli si avventuri nell’Ignoto. In quel grande mondo della libera conoscenza, dove le idee e i cervelli circolano, si confrontano, vanno magari in conflitto, il tutto nell’ottica redistributiva di ottenere una sintesi alta e certamente più completa di quella più asfittica sortita da cervelli praticamente mai in conflitto con le strategie del numero uno.
È in questa fase che a Renzi vengono le idee che qualcuno intorno a lui, molto più realista del Capo, definirebbe malsane e avventuristiche, ma che nelle società più avvedute sono semplicemente le scelte aziendali più naturali: cercare i più bravi. Anche se magari non hanno mai fatto mistero di una certa avversione per il tuo modo di governare e acclaratamente non dispongono di pazienza illimitata se qualcuno dice una pirlata e te lo fanno osservare. Nelle intenzioni del premier, ancor prima dell’evidente e riconosciuta professionalità, l’obiettivo è quello di «épater le bourgeois», stupire l’opinione pubblica con un gesto di liberalità estrema, lui che viene considerato un mezzo ducetto, chiamando a sè uno che non la pensa come lui! Un gesto di una normalità assoluta che il premier spaccia per acchiappo planetario, per uno sforzo estremo di democrazia partecipativa. Boeri è stato un po’ questo, Perotti lo stesso, anche se meno conosciuto.
La storia ci dice, ci ha dimostrato, che Renzi non “sente” davvero quelle scelte, che non gli appartengono, non sono sincere, che sono massimamente costruite a tavolino, che non hanno respiro e sono destinate a veloce fallimento. Renzi è l’altro, quello dei Guerra, che lo aiutano un po’ e poi lo mollano, quello dei Nannicini, delle De Romanis, eccetera. Al punto che con i professionisti di altro segno politico e di altra cultura prima o poi arriva il momento in cui le strade si dividono perchè vuol fare solo di testa sua. Lo dice anche Padoan, del resto, raro esempio di sofferenza compressa e interessata.
Devi fare login per commentare
Accedi