Partiti e politici

L’Autonomia e le poltrone d’Europa: tutte le battaglie dell’estate di Giorgia

24 Giugno 2024

La trattativa per la formazione della nuova Commissione europea, e le riforme istituzionali e costituzionali. Il metronomo della vita del governo e della politica italiana si muove, in queste settimane, pendolando tra questi due cardini. Sono due partite del tutto autonome, eppure entrambe costruiscono le basi per il destino di questo governo e di questa maggioranza. Entrambe le partite sono regolate da un sistema di tiranti e contrappesi interni ed esterni che portano la coperta, per definizione corta, da un lato o dall’altro del campo da gioco. A tirare le fila per massimizzare il risultato di tutti, a cominciare dal proprio, c’è Giorgia Meloni, mentre i risultati dei ballottaggi per le elezioni amministrative che si sono celebrati ieri e oggi non cambiano l’analisi del voto già svolta, salvo rafforzare ulteriormente le considerazioni sul crescente astensionismo, e sulla capacità del centrosinistra di essere competitivi nei centri urbani medio grandi, soprattutto se si vota col doppio turno.

Partiamo dalla Commissione, dal percorso che porta al sempre più probabile bis di Ursula Von Der Layen, grazie anche al sempre più probabile sostegno di Giorgia Meloni. Lei che aveva detto “mai coi socialisti”, e che dal giorno dopo le ultime elezioni europee ha lasciato intendere che Bruxelles val bene una (nuova) inversione a U. All’inizio sembrava quasi facile, una partita destinata a chiudersi in pochi giorni, con l’ingresso del gruppo di Meloni in maggioranza e un esponente di peso del governo – si disse Giorgetti, in prima battuta – destinato a entrare in Commissione, in posizione da definirsi. Poi, tutto il mondo è paese, e anche in Europa la formazione dei gruppi parlamentari porta a sorprese e cambi di casacca, e per un attimo – durato diversi giorni – Von Der Layen sembrò rispostarsi “a sinistra”, quando in diversi ambienti socialisti e verdi si accarezzava l’idea di fare una commissione con le “destre dure” fuori. Infine, e siamo a oggi, si è tornati sostanzialmente allo schema iniziale, il più contorto politicamente e però anche il più solido numericamente: con pezzi importanti di conservatori dentro, e Meloni pronta a capitalizzare il suo sostegno a Von Der Layen ottenendo una vicepresidenza di peso e molte deleghe che saranno affidate, a quanto pare, a un suo fedelissimo come Raffaele Fitto. Ovviamente, essere al governo dell’Europa mettendoci la faccia può portare benefici in termini negoziali e di peso, ma anche esporre alle critiche di chi, come Salvini, è alleato in Italia, ma a Bruxelles starà all’opposizione.

La tensione con gli alleati è anche al centro, naturalmente, della partita che si gioca in patria sulle riforme istituzionali e costituzionali. La prima, in teoria arrivata al traguardo, è quella dell’autonomia differenziata. Sergio Mattarella ha fatto sapere che si prenderà il tempo che serve per analizzare ed eventualmente controfirmare o rispedire al legislatore una legge definita delicata. Antonio Polito, un editorialista non certo privo di pragmatismo nè accusabile di essere ideologicamente e pregiudizialmente avverso a chicchessià, sul Corriere del Mezzogiorno di oggi, pone molti dubbi sull’efficacia della riforma, e sulla sua reale praticabilità. Il cavallo di battaglia della Lega di Salvini, fondamentale per il leader leghista per non esporre ulteriormente il fianco agli attacchi della vecchia guarda nordista, sembra insomma partire zoppo e affaticato, in un paese che continua a viaggiare a velocità molto diverse, e solo una semplificazione ereditata dal passato fa ancora dire che ci sia una faglia di separazione unica e divida, semplicemente, il nord dal sud.

Più in là nella linea temporale della vita del governo e della legislatura, c’è LA partita di Giorgia Meloni, la riforma costituzionale che dovrebbe potrare al cosiddetto premierato, e all’elezione diretta del presidente del Consiglio. Meloni era partita con qualche cautela, ma oggi sembra aver imbracciato la scimitarra e insollato alla testa l’elmetto, finendo con somigliare al Renzi che promise di ritirarsi dalla politica qualora non fosse passata la sua, di proposta di riforma. Continua a dire, la premer, che lei non sta a vivacchiare, e che non è possibile accettare un sistema che non garantisce ai cittadini di essere governato come hanno scelto, da chi hanno voluto davvero. Come ha spiegato bene Giulio Talini sulle nostre pagine, è questo l’ultimo e più sfacciato passaggio di un cammino di svuotamento della funzione parlamentare inziato quando Giorgia era ancora minorenne. Alla premier, riconoscendo perfino del buonsenso alla sua affermazione di principio, verrebbe però da chiedere anche se la democrazia più sostanziale sia garantita dal solo fatto che governa chi è stato eletto per farlo, e non serva anche avere la garanzia politica, diremmo quasi etica, che chi è stato eletto promettendo certe cose o soffiando su certi venti di propaganda, non debba poi almeno qualche spiegazione quando, arrivato al governo, fa esattamente il contrario. Nessuna riforma costituzionale può garantire questo, eppure non ci sembra meno importante.

E mentre la politica parlà di sè, noi dovremmo parlare solo di Satnam Singh, morto per omissione di cure dopo un incidente sul lavoro, nei campi in cui da sfruttato raccoglieva ortaggi per le nostre tavole. La sua morte, crudele, si iscrive in uno storia di sfruttamento culminata in un’indagine per caporalato che durava ormai da Cinque anni e vedeva coinvolta la famiglia del datore di lavoro di Singh. Sulla tragedia di questi giorni abbiamo detto tutto, e forse è troppo, e di certo non è abbastanza. Sull’incapacità dissuasiva di una giustizia penale così lenta, però, non abbiamo forse detto e fatto abbastanza. In un paese più giusto, la sicurezza e la dignità del lavoro vengono molto prima dell’elezione diretta del presidente del consiglio, e non serve cambiare le regole del governo se non sembra intollerabile non fare rispettare leggi che esistono già per tutelare, semplicemente, la dignità degli esseri umani.

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