Partiti e politici
«Questo è il governo del cambiamento talebano»: intervista a Laura Boldrini
Dopo 5 anni da Presidente della Camera dei Deputati, in cui non si è celata dietro i cerimoniali ma ha proseguito le battaglie che combatte sin da quando ha ricoperto l’incarico di Portavoce dell’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati per il Sud Europa, Laura Boldrini è oggi impegnata in una dura opposizione al governo Lega – M5S. Contro la deputata di Leu sono state confezionate a lungo fake news, anche per questo ora segue con interesse l’inchiesta di alcuni quotidiani volta ad accertare l’esistenza di una “fabbrica del falso”, una società con sede in Russia che diffonderebbe notizie fasulle per trainare il consenso dei partiti populisti.
«Non mi sorprenderebbe se fosse accertato che ci siano queste “connections” tra Lega e Movimento 5 Stelle. Ho sperimentato in prima persona l’utilizzo che queste due forze fanno delle fake news per delegittimare l’avversario, trasformandolo in nemico, inventando di sana pianta fatti inesistenti e alimentando rabbia delle persone. Sono i più esperti nel costruire la “politica dell’odio” volta a creare un capro espiatorio, nella maggior parte dei casi il migrante, il diverso, il più debole. Ma anche a generare un “odio politico” verso la figura politica che la pensa diversamente, che si concretizza esponendo la controparte a una gogna mediatica per screditarla. Si tratta di un’organizzazione ben strutturata che si avvale di una strategia politica chiara: per contrastarla bisogna reagire senza cadere nella trappola, cercando di far capire alle persone che non devono credere a-criticamente a tutto ciò che viene scritto sulla rete. La disinformazione è dannosa, anche per la salute dei cittadini: si pensi ai vaccini pediatrici o alle cure mediche improvvisate. Proprio per affermare il principio a una corretta informazione, nella scorsa legislatura ho avviato, insieme al Ministero dell’Istruzione, la Rai, Confindustria, Facebook, Google e la Federazione Italiana degli Editori di Giornali, un progetto di educazione digitale nelle scuole, coinvolgendo quattro milioni di studenti, a cui abbiamo fornito gli strumenti per orientarsi nel mare magnum dell’informazione e per diventare loro stessi dei “cacciatori di bufale”.
In merito a odio e minacce, che spesso sono la diretta conseguenza di false notizie, sono dell’idea che non bisogna abbassare la testa e serva denunciare: in uno Stato di diritto non si deve soccombere alla violenza e le persone vanno messe di fronte alle loro responsabilità. Da quando ho iniziato a denunciare, molti “leoni da tastiera” sono diventati “conigli in fuga”. Attualmente ci sono molte cause in corso e stanno arrivando i primi risultati, come il rinvio a giudizio del sindaco leghista di Pontinvrea. Ci sono poi delle condanne, come quella a Gianni di Fermo, che in diretta a “La Zanzara” su radio 24 disse che mi dovevano gambizzare. Ho reagito, perché per mia natura amo combattere, ma l’ho fatto soprattutto in nome e per conto di tutte quelle persone che subiscono attacchi in rete e non hanno la forza o la capacità di reagire. Tanta gente è intimidita dallo squadrismo digitale e ha paura di esprimere la propria opinione. E poi, quando vado nelle scuole a parlare di bullismo, come posso dire ai ragazzi e alle ragazze che vengono ingiuriati (e nel periodo adolescenziale questo può portare a gravi conseguenze) che devono ribellarsi e fare i nomi di chi usa la prepotenza, se non sono io la prima a farlo?».
Proprio un anno fa, Laura Boldrini ha annunciato le denunce contro insulti e calunnie, pubblicando alcuni screenshot dei commenti a lei rivolti dagli haters. «Quando ho reso pubbliche alcune delle minacce e delle volgarità sul mio conto la cosa che mi ha colpito di più è che questi “leoni da tastiera” hanno fatto chiamare le mogli o le madri per chiedermi scusa, senza avere neanche il coraggio di affrontarmi di persona. C’è un hater, invece, che si è pentito e mi ha contattato; a settembre vorrei incontrarlo per discutere con lui e capire le sue ragioni».
L’odio, però, è anche figlio di “cattivi maestri”: chi soffia da tempo su certi focolai è l’attuale Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, da molti considerato “mandante morale” dell’escalation di aggressioni a sfondo razzista di queste ultime settimane. Per Roberto Saviano, che ha ripreso una definizione di Salvemini, è il “ministro della malavita”, per Laura Boldrini è un “professore della paura”: «Io non criminalizzo le persone, che hanno paura, me la prendo con chi ha alimenta quotidianamente quella paura. Salvini è stato il primo; ha trovato nei migranti il capro espiatorio ideale, di cui ha molto bisogno. Sa, infatti, di non poter fare quanto promesso in campagna elettorale, dal “rimandare a casa” seicentomila migranti irregolari (è consapevole che gli accordi di riammissione sono molto complicati) fino all’abolizione della Fornero passando per la “flat tax”. Ha creato un’arma di distrazione di massa, inventando un’emergenza sbarchi che non esiste, accanendosi sui migranti (i cui arrivi sono circa l’80% in meno rispetto al 2017) e tenendoli come ostaggi in mezzo al mare».
Tuttavia, il “capitano”, come viene definito dai suoi fan, è riuscito con una martellante campagna di disinformazione a far credere in un’invasione dall’Africa, omettendo quanto avviene nei paesi di origine dei migranti, durante i loro viaggi della disperazione e nei lager libici. «In commissione esteri, durante la discussione sul “decreto motovedette”, ho parlato chiaramente di quanto succede in Libia. L’Italia si accinge a fornire alla marina libica delle motovedette perché si occupi del “lavoro sporco”: bloccare chi prende il mare, riportarlo indietro e rimetterlo in centri, dove un rapporto, presentato dal segretario generale Guterres al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, parla di migranti e richiedenti asilo che vengono arbitrariamente detenuti in condizioni inumane e degradanti e nei confronti dei quali vengono praticati tortura e stupri sistematici. La scelta, ho detto in commissione, è tra far finta di niente e fermarci un attimo a riflettere e votare no, per non essere corresponsabili di queste palesi violazioni dei diritti umani. Mi sono appellata a tutto l’arco parlamentare, soprattutto ai colleghi e alle colleghe del Pd, perché nel provvedimento non c’è una riga sulla tutela dei diritti umani, non una riga dove si chieda alle autorità libiche delle garanzie affinché le persone vengano trattenute in modo dignitoso e nel rispetto degli standard tradizionali. Ho constatato con dispiacere che al Senato gli unici a votare contro sono stati Emma Bonino e Leu».
In queste torride giornate d’agosto, le Aule si apprestano a varare il cosiddetto “Decreto Dignità” a firma Luigi Di Maio. Per molti il pacchetto di provvedimenti già approvati rischia di penalizzare tanti lavoratori. Laura Boldrini ne ha fatto emergere alcune criticità. «Il M5S aveva detto in campagna elettorale che avrebbe reintrodotto l’articolo 18, poi quando Epifani ha presentato l’emendamento per reintrodurlo, ha votato contro. Aveva contrastato con parole anche molto colorite i voucher, poi ne ha allargato la possibilità di utilizzo. Un tradimento nei confronti dell’elettorato. Dalla sua, la sinistra dovrebbe riuscire a tutelare chi lavora, evitando che il lavoro si renda merce, valorizzandolo e dandogli un prezzo. Ma al tempo stesso spingere affinché le aziende crescano non giocando al ribasso sui diritti ma investendo in ricerca e innovazione. Insomma, non deve ripetere l’errore di sposare in toto le esigenze imprenditoriali assecondando l’eccesso di flessibilità che porta alla precarietà del vivere, ma deve correggere il tiro; deve capire che la precarietà non dà futuro a milioni di giovani e mette in ginocchio il paese intero».
Mentre occupava lo scranno più alto di Montecitorio, l’esponente di Leu è stata anche un simbolo delle battaglie per la parità di genere. «È una grande delusione vedere i banchi del Governo occupati da quasi solo uomini, sembra di essere al cospetto del “governo del cambiamento talebano”. Le percentuali di presenza femminile nel Governo Conte sono più simili a quelle di Kabul che a quelle di Madrid o Parigi. Si è voluto interrompere un iter positivo ormai consolidato. A fronte di una buona presenza femminile in Parlamento (oggi le donne sono il 34% degli eletti), c’è stata una drammatica riduzione nell’esecutivo: su 63 membri abbiamo solo 11 donne, circa il 17%. Una pietra di paragone? In Francia la presenza femminile è al 58%, in Afghanistan al 9%. Il 25 novembre del 2017, da Presidente della Camera, ho invitato in aula 1.400 donne vittime di violenze; donne che però sono riuscite a riprendere in mano la loro vita. È stato un bel giorno, perché quelle donne si sono sentite unite in un unico abbraccio. Vorrei che si compisse una vera e propria “rivoluzione femminista”, ma perché questo accada le donne devono alzare la testa: ora che finalmente abbiamo voce più nessuno potrà togliercela».
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