Partiti e politici

La vittoria scontata del Sì, la sconfitta di una politica scollata dalla realtà

21 Settembre 2020

L’election day del 20 settembre ci consegna un primo risultato, su cui invero non ci sono mai stati dubbi, nonostante la martellante campagna degli organi di stampa e nonostante l’assoluta assenza di mobilitazione pubblica del fronte risultato vincitore, soprattutto nelle ultime settimane. Il taglio dei parlamentari, sottoposto a referendum abrogativo, che vedrò il sì prevalere con una percentuale comodamente superiore al 60% dei voti espressi, e con un’affluenza attorno al 50%. Che resta comunque, data l’esiguità della questione sottoposta al popolo, una testimonianza imponente di voglia di partecipare.

È bene ricordare, brevemente, come siamo arrivati a questo voto. Un cavallo di battaglia del Movimento 5 Stelle, una riforma tutta fondata sul solo taglio delle poltrone e dei costi senza alcuna modifica dell’assetto costituzionale, è stata prima sostenuto dalla sola maggioranza giallo-verde, col supporto di fratelli d’Italia, infine approvato in quarta e ultima votazione dalla maggioranza giallo-rossa (cioè anche col voto del Pd, che aveva sempre votato contro) ma anche col sostegno di Lega e FdI. A rendere possibile il referendum è stata dunque la richiesta depositata da 64 senatori, a fronte di una maggioranza qualificata che non era stata raggiunta nella stesso ramo del parlamento.

Dunque, ieri e oggi gli italiani sono stati chiamati a votare su una legge di modifica costituzionale che è stata approvata dalla stragrande maggioranza delle forze politiche rappresentate in parlamento che, lungo gli anni, invece di provare a dimostrare la nobiltà e l’utilità dell’arte e della professione della politica, si sono accodati alle richieste “dell’antipolitica” votando il taglio, salvo poi lasciar intendere ai propri elettori e militanti che, insomma, sarebbe stato meglio che vincesse il no. Magari lasciando anche intendere – è successo in casa Pd e in casa Lega, di sicuro – che si sarebbe anche potuto decidere di votare no in prima persona, forse illudendosi, ancora una volta, che la politica sia in grado, ancora oggi, di controllare davvero l’opinione pubblica.

Così, alla fine di questa partiuta, in attesa di sapere come si comporrà il puzzle delle regioni, restano alcuni punti fermi che vale la pena di analizzare.
Il disprezzo della politica, lungamente alimentato da una politica sempre più autoreferenziale da un lato, e da politici professionisti del populismo antipolitico, è ormai radicatissimo. Basta vedere le percentuali di affluenza e di voto favorevole al taglio anche nelle regioni in cui non si votava per le regionali. Il giochino tattico di votare sì in parlamento e di sussurrare qualche no in campagna elettorale ovviamente non fa che rafforzare quel sentimento negativo.
Il paese, la sua società, risponde sempre di meno a logiche di appartenenza e di fedeltà, ma se un minimo di rapporto tra partiti e società si vuoel ricreare serve coraggio, quello di metterci la faccia e di fare scelte e proclami coerenti.
Infine, la bolla che separa militanti e dirigenti dal resto del mondo è sempre più piccola, e sempre più spessa.
Prima ce ne si accorge, meglio è per tutti.

 

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