Partiti e politici

La vittoria fredda del “Modello Milano”, vista da vicino

5 Ottobre 2021

Chi l’avrebbe mai detto, appena una dozzina di anni fa? Chi avrebbe potuto immaginare, quando solo i più attenti udivano i primi scricchiolii del berlusconismo, che la vittoria di un sindaco candidato del Centrosinistra al primo turno, a Milano, potesse assumere addirittura i contorni del trionfo? In quel passato non così remoto, non lo pensava davvero nessuno. Tanto che oggi, quando mi capita di ricordare che a Milano per quasi vent’anni il centrodestra è stato dominante ed egemone, incontro spesso sguardi curiosi, o addirittura di compatimento. Eppure era così. La destra leghista e berlusconiana vinceva in centro, vinceva in periferia, vinceva dappertutto e interpretava lo spirito della città. E vinceva alle politiche, alle regionali, alle comunali e alle europee. Sostanzialmente senza eccezioni. Magari tra alleati ci si faceva dei dispetti per strappare qualche punto decimale gli uni agli altri, e ci si faceva guerra sulle preferenze. Ma questo era il massimo della tensione politica.

Esattamente come oggi la vittoria del centrosinistra è un risultato tanto scontato da non meritare nemmeno l’enfasi che si dedica alle vere notizie, da non suscitare – anche grazie a una provvidenziale pioggia torrenziale – la tentazione di convocare una festa per la vittoria. Beppe Sala, che della politica in un quinquennio ha imparato tante cose, ha ampiamente capito che non è il tempo di feste, nè di comizi nè di adunate. Meglio gestire con sufficienza una vittoria schiacciante che convocare piazze semivuote. E così, proprio com’era ai tempi del centrodestra che dominava, anche in quest’era di centrosinistra vincitore scontato, l’unica vera questione che resta è la prova di forza muscolare tra il sindaco e la sua lista e il Partito Democratico. Ne riparleremo tra poco. Ma prima guardiamo ai dati della partita principale, quella che il centosinistra ha vinto in carrozza, con la leggerezza di chi sorseggia distrattamente uno spritz. Eppure è così, in attesa di alcuni dettagli che ancora ci mancano, abbiamo alcune certezze che vanno annotate. A Milano ha votato poca gente, in linea con altre grandi città, sotto di circa 5 punti rispetto alla media nazionale, ma soprattutto in netto calo rispetto alla storica tradizione meneghina di partecipazione. È un dato su cui si dovrà riflettere.

Tuttavia, al momento, è un dato che sembra princpalmente imputabile alla presa sempre più scarsa del centrodestra sulla città. Perchè a confrontare i dati del voto di ieri con quelli del primo turno di cinque anni fa, il centrosinistra guidato da Beppe Sala in termini assoluti guadagna quasi 50 mila voti rispetto ai 224 mila di allora, mentre il centrodestra che candida Luca Bernardo ne perde circa 70 mila. Entrambi i dati assumono particolare rilevanza, se si considera che nel complesso i partecipanti al voto calano di circa 70 mila unità, mentre il numero degli aventi diritti è sostanzialmente invariato. In sostanza, gli elettori del centrosinistra che spingono Sala a vincere al primo sono parecchi di più di quelli che lo sostennero al primo turno di cinque anni fa, e superano anche quelli che gli regalarono la vittoria al ballottaggio. Di contro, il centrodestra subisce un’emorragia che, dal punto di vista quantitativo, finisce col cambaciare in buona parte con le dimensioni dell’aumento dell’astensionismo. Altro dato rilevante, seppur marginale, riguarda quel che succede “fuori” dalle coalizioni: tutti i candidati alternativi, dalla sinistra di Mariani al sovranismo di Paragone, passando per Layla Pavone dei 5 Stelle insieme a molti altri, raccolgono insieme meno di 50 mila voti. quanti ne raccolse da solo Corrado, candidato cinque anni fa dai 5 stelle.
(A questo link trovate i risultati di ieri, che potete confrontare con la tabella ripostata qui sotto, relativa ai risultati di 5 anni fa).

In questo quadro, i voti relativi ai singoli municipi e i pertinenti dati sull’affluenza assumono un significato diverso da quello delle prime letture. È vero, ad esempio, che nel centro della città – il Municipio 1 -, il quadrante in cui a tiro di passeggiata si arriva dalla Madonnina a Piazza Affari, si è votato ancora meno che altrove. Ma proprio lì, nella ormai consolidata roccaforte della sinistra milanese e italiana – oh yes… – gli elettori hanno scelto davvero in massa il centrosinistra e Sala. Lo ha votato circa il 65% degli elettori che hanno esercitato il loro diritto, contro il 46 di cinque anni fa. Uno tra i quartieri più ricchi del mondo non ha dubbi, e vota Pd.

Resta, infine, la partita “minore” della sfida interna al centrosinistra. Era – lo dicevamo all’inizio – l’unica davvero aperta. Il sindaco avrebbe voluto “quasi” raggiungere con la sua lista e le sue preferenze personali il Pd. E il Pd cercava la prova di forza per dimostrare al sindaco che, a Milano, la struttura conta ancora più dei singoli: anche, perfino, se si chiamano Beppe Sala. Il risultato che si consolida dice che la scommessa l’ha vinta il partito, guidato in città da Silvia Roggiani. Coi suoi circa 150 mila voti il Pd supera di poco i numeri di cinque anni fa, ma grazie al calo dell’affluenza cresce di 5 punti percentuali. Inoltre, dopo anni di “one man show”, il Pd può registrare una tenuta solida, a fronte di una crescita assoluta limitata da parte della lista di Sala che resta sostanzialmente stabile sia in termini di voti assoluti che relativi. Resta capire, ora, il peso delle preferenze dei singoli, che finiranno di disegnare i rapporti di forza tra Sala e quello che – ormai millenni fa, da Fabio Fazio, annunciando la sua disponibilità a candidarsi a sindaco – definì “il suo partito di riferimento”.
Ma più di questo, molto di più, restano da chiarire alcuni punti di sostanza fondamentali per il governo di una metropoli contemporanea. Dove si vuole portare Milano? Che spazio devono avere, in città, le persone che non hanno capitale economico e sociale rilevante di partenza? Che spazio si immagina e si vuole difendere per il lavoro povero di oggi e di domani? In che modo si intende affrontare le povertà abitative, scolastiche e alimentari, sempre che le si voglia affrontare? Come si pensa di far convivere il valore di una città dinamica e attrattiva con l’esigenza pressante, diremmo asfissiante, di una vera tutela dell’ambiente? E in che modo si pensa di arginare la rendita immobiliare di ogni ordine e grado, quella che unisce – o così sembra – il piccolo rentier e il grande costruttore multinazionale? A meno che sia sfuggito a me, non mi sembra che queste domande siano al centro di nessun dibattito, di nessuna sfida: tantomeno di quella che ha visto contrapposti Sala e il Pd. Visto che c’è tanto tempo, e i rivali mancano anche in fondo alla linea dell’orizzonte, sarebbe utile pensarci. Non tanto perchè qualcuno davvero lo chiede, che putroppo lo chiedono in pochi. Ma perchè stiamo parlando di azioni utili alla collettività: ed è per questo, in fondo, che si fa politica soprattutto se, contro diverse evidenze, ci si continua a definire “di sinistra”.

 

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