Partiti e politici
La vittoria di Elly Schlein è una pessima notizia per l’Italia
Il Partito Democratico oggi fa molta tenerezza ed è difficile scegliere un sostantivo adatto ad indicare il momento che sta attraversando. In ogni modo, qualunque sia la scelta, il concetto da esprimere, tradotto in politica è chiaro e semplice: fallimento.
Il punto da cui partire è certamente la storia elettorale del partito: alle elezioni politiche del 2008, le prime a cui partecipò, raggiunse il 37%; alle recenti elezioni il 19% (peggior risultato dal dopoguerra). Due anni dopo dalla sua nascita, nel 2009, contava quasi 1 milione di iscritti, gli ultimi dati disponibili (2021) parlano di 300.000 circa. Per quanto riguarda le primarie, da un massimo di circa 3 milioni e mezzo di votanti nel 2007, l’ultima elezione del segretario del PD ha visto l’affluenza ridursi ad un terzo. Tra gli elettori quelli iscritti al partito sono sempre meno. Giustamente al Nazareno festeggiano perché il PD sarà rivoluzionato.
Oltre a questa tragicomica vicenda elettorale è scontato dire che quel partito nato nel 2007 con il sogno di rappresentare un nuovo riformismo di sinistra oggi non esiste più. Il PD nacque in un contesto culturale in cui nei circoli interessati, come ricorda Jacopo Tondelli, “il dibattito fu vero e riguardò questioni teoriche e pratiche che, per definizione, erano destinate a incarnarsi in scelte politiche precise”. Oggi il nuovo segretario vince sulla base di una nebulosa posizione politica caratterizzata principalmente da una identificazione “culturale” con l’esperienza del governo Conte II.
Non a caso, il rivoluzionario programma di Elly Schlein è il solito calderone a cui è difficile dare una connotazione politica precisa. Tra i suoi punti fondamentali annovera: un ecologismo anti-trivelle, anti-nucleare e anti-tutto; la difesa del ruolo della donna nella società e il contrasto al patriarcato; la settimana di quattro giorni lavorativi e l’aumento dei salari; l’abolizione della legge Fornero; il superamento del jobs act; il mantenimento del reddito di cittadinanza. Grande spazio è riservato ai diritti LGBTQIA+ ed è alle battaglie per “ una legge contro l’omobilesbotransfobia, l’abilismo e il sessismo”. Schlein si propone di combattere diseguaglianze e discriminazioni attraverso “un nuovo contratto sociale” in grado di redistribuire “ricchezze, sapere, potere e tempo”.
Scontato dire che non è stata spesa una sola parola sul come verranno realizzate queste innovative promesse. Ad appoggiare questo programma ci sono dirigenti come Roberto Speranza, Andrea Orlando, Giuseppe Provenzano, Francesco Boccia e Goffredo Bettini. Un’illuminata corrente del PD unita principalmente a partire da un antico, e spesso maldestramente celato, antiamericanismo e sulla base di confuse idee su cosa sia una socialdemocrazia. Logicamente segue che, per quanto riguarda il sostegno all’Ucraina, Schlein parla di conflitto e non di invasione, “ribadisce la necessità che l’Unione si faccia portavoce di una soluzione di pace” ed è ambigua quando parla riguardo gli aiuti militari.
Nonostante queste primarie abbiano sancito il fallimento di un progetto politico nato nel 2007, esiste un dato rilevante: sono state un vero laboratorio di democrazia diretta. Infatti, eventualità mai accorsa nella storia del PD, il voto delle primarie rovescia quello degli iscritti e il nuovo segretario prende la tessera per l’occasione elettorale (privilegio non concesso al tempo a Beppe Grillo). Inoltre per la prima volta una donna raggiunge la segreteria del partito. Una rivoluzione democratica? Oppure si tratta di una trasformazione in senso populistico delle primarie? Nei fatti un militante iscritto per l’occasione, con posizioni minoritarie(?) nel partito, è stato eletto leader da votanti esterni (forse dalle parti del Nazareno dovrebbero chiedersi come funziona un partito politico, ma questa è altra storia…).
La vittoria della Schlein e la contestuale morte della vocazione maggioritaria del PD mi hanno ricordato una riflessione fatta nel 2015 quando Corbyn vinse le primarie del Partito Laburista. In quella occasione pensai che la grande assente fosse stata la politica intesa come attività di un partito in grado di definire una solida cultura di governo. Nell’elezione di Corbyn si poteva osservare la debolezza di una sinistra che non riusciva a interpretarsi come guida del paese e si condannava all’opposizione. Era l’ennesimo segno della vittoria del populismo contro la politica. A discapito degli entusiasmi del momento, quelle elezioni condannarono il Partito Laburista all’opposizione, fecero perdere molti deputati moderati e aggravarono le già esistenti tensioni intestine. In occasione delle elezioni del 2019 i laburisti ottennero la peggior sconfitta elettorale dal 1935. Il 4 aprile 2020 Corbyn venne sconfitto alle primarie.
Al tempo scrissi che le primarie dei laburisti avrebbero portato il Regno Unito lontano dall’Europa. Abbiamo visto tutti cosa è successo. Queste primarie, come furono quelle britanniche del 2015, santificano il populismo come cifra politica della sinistra italiana. Donano al Paese un’opposizione debole, minoritaria e alquanto confusa. Politicamente si tratta di un favore ad un governo apertamente conservatore il quale, non temendo una sconfitta elettorale, potrebbe essere portato a radicalizzare le proprie visioni. La vittoria di Elly Schlein regala ad Italia ed Europa una sinistra sempre più incapace di rinnovarsi culturalmente per diventare forza di governo. Quali strategie utilizzerà il PD per tornare a palazzo Chigi? La scelta radical-populista non fece fare molta strada al Partito Laburista inglese. Ma il mio era solo un ricordo. Chissà come andrà a finire per il nuovo “sogno democratico”. In ogni caso, oggi il PD fa molta tenerezza.
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