Partiti e politici

La verità sull’amore di Silvio per i cani? Gli fanno schifo

16 Aprile 2015

Per illustrare con un certa efficacia il livello di disfacimento della destra italiana,  quella almeno riconducibile a Silvio Berlusconi, nulla sembra più indicato del notevole dibattito sull’«amore» del Cav. per i cani, in special modo i suoi o meglio quelli che gli avrebbe imposto la signorina che si ostina ad accreditarsi come sua fidanzata. In questo caso sentiamo il dovere di non discostarci troppo dalla Verità assoluta, operazione che non ci azzarderemmo a proporvi per nessun altro degli argomenti sul tappeto, ma che in questo caso sentiamo di poter rivelare con una certa serenità essendo in possesso di elementi inoppugnabili.

Tutto nasce da niente. Niente è un pezzettino giornalistico, una cosa come quella che stiamo scrivendo anche noi, ad opera di Ugo Magri, serio cronista della Stampa assai poco abituato a dare scandalo, il quale all’interno di un racconto sui rancori (interni)  che suscita il Cav., alla fine ci piazza proprio i cani, Dudù e gli altri che sono arrivati dopo, per un totale di tre (3). Per meglio condire la questione canina, Magri mette in bocca al Cav. una frase liberatoria, apparentemente molto sua, tra virgolette: «Basta, non ne posso più di avere queste bestie per la casa. Non è vero che gli animali mi piacciono, anzi a dirla tutta non mi sono mai piaciuti».

Al Cav. tra virgolette gli è stato attribuito di tutto in questi vent’anni. E lui non ha smentito quasi mai, troppa perdita di tempo, ogni tanto faceva fare una cosa cumulativa da Bonaiuti, per cui dire alle agenzie che tutto quello che gli avevano messo in bocca era frutto di pura fantasia. Sembrava dovesse essere anche il destino di questa pinzillacchera sui cani, quando nel pieno del dibattito politico arriva da Arcore una nota in cui Berlusconi smentisce con risolutezza quella repulsione per le bianche creature di casa a cui, invece, conferma tutto l’amore possibile. In parallelo, agisce anche la Brambilla Maria Vittoria, animalista di casa, la quale sperguira sull’amore sincero del Cav. per quei cagnetti. Cos’era successo? Che nel frattempo la Pascale, intestataria di Dudù and friends, gli aveva piantato un casino epocale per cui il poverino, ormai quasi ottantenne, era stato costretto a una poderosa retromarcia.

Ma noi qui possiamo dirlo con l’energia della Verità: a Berlusconi quei cagnetti fanno schifo. Creaturine che gli sbavano sulla giacca, che evidentemente non si spruzzano Chanel. n.19, non gli sono congeniali, ma non da adesso, non è un fatto personale con Dudù ecc., lui gli animali non li ha mai sopportati, perché è sempre stato un igenista compulsivo. Tenete conto che anche con gli umani non assisititi da un ammorbidente naturale il Cav. non ha mai avuto un buon rapporto e ce lo confidò all’inizio della sua avventura politica, quando era terrorizzato, per un fatto appunto di igiene, nel dover stringere centinaia di mani sudate, portatrici di bacilli, veri e propri conduttori di ogni tipo di magagna sanitaria.

Lo stesso con gli animali, a cui invece i suoi figli di secondo letto, i figli di Veronica per intenderci, erano legatissimi, tanto da andarseli a cercare nel meraviglioso bosco di Macherio e una volta stanati e magari accalappiati in modo anche un po’ scomposto, presentarsi da papone per farglieli apprezzare. Accadde molti e molti anni fa sotto gli occhi di un esterefatto Vittorio Testa, allora il migliore cronista politico che avesse Repubblica, quando Luigino, stringendo al petto un coniglietto fresco di rugiada, corse incontro a papà, il quale fece un inorridito balzo all’indietro, come avesse visto la vipera di Russell, il serpente più letale al mondo. Gli addocchiò le zampine, che naturalmente erano sporche di terra bagnata e poi, lapidario, emise la sua sentenza davanti al povero bambino: «Luigino, questo coniglio ha bisogno di uno shampoo!». Luigino reagì subito: «Ma papà, non si fa lo shampoo a un coniglietto», poi scappò via terrorizzato, dileguandosi nel bosco con la creaturina. Del resto, qualche mese fa, incontrato per caso in una gelateria di Vincenzo Monti a Milano, il Cav. ci rivelava la sua vera paura di quel momento: ebola. Lo considerava un male alle porte di Roma, volutamente tenuto sottotraccia, ma pericoloso come pochi. Ne riconoscemmo quel tratto antico patologico.

Fattosi vecchietto, è possibile che il buon Cav. si sia intenerito. Consentiteci di mantenere qualche dubbio. Poi quei cagnetti lì non hanno neppure quella possanza che gli piacerebbe un po’, quella fierezza, quel portamento. No, quei caghetti lì non li sopporta. Neppure per amore.
Per dire del disfacimento assoluto della destra (Di cui anche questo pezzetto sui cani di casa Berlusconi si rende complice).

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