Partiti e politici
La vera determinante del risultato: l’affluenza
Il 17 aprile scorso si è votato, come alcuni di noi ancora ricordano, per il referendum sulle trivelle. I sondaggi degli ultimi giorni avevano previsto correttamente una valanga di SI (alla cancellazione della legge), ma parlavano anche delle previsioni di affluenza. Cosa dicevano le indagine demoscopiche di allora? Le dichiarazioni degli italiani intervistati sulla propria partecipazione al referendum facevano prevedere un facile raggiungimento del quorum: percentuali che andavano dal 55 al 65 per cento, alle quali gli esperti di sondaggio non credevano (giustamente) molto. Ma la tara che facevano a queste cifre li portavano ad ipotizzare comunque che la soglia del 50% fosse tutto sommato alla portata dei promotori della consultazione.
In un sondaggio effettuato da Ipsos qualche giorno fa, è stata inserita anche una domanda retrospettiva, che mirava a stimare quanti si fossero recati alle urne proprio in quel referendum. Risposta degli intervistati: 60%. Oggi sappiamo che la partecipazione del 17 aprile fu del 31% circa degli italiani, quasi 30 punti in meno.
Questo è dunque il vero nodo da risolvere per poter fare delle stime corrette anche sulle dichiarazioni di voto odierne. Perché dai dati di reale affluenza dipenderà in misura sostanziale anche la vittoria del SI o del NO. Cerchiamo di capirne il motivo.
Le percentuali di possibile partecipazione, anche in questa occasione, sono dello stesso ordine di quelle registrate per il referendum sulle trivelle ma, anche se ovviamente questa consultazione è molto più sentita dagli elettori, non ci sono dubbi sul fatto che alla fine non andranno certo a votare tutti quelli che affermano di volerci andare. Ipotizziamo che ci andrà realmente non più del 55-60% degli aventi diritto.
Se la quota fosse di questo tipo, il NO dovrebbe vincere abbastanza agevolmente, perché vorrebbe dire che una fetta considerevole degli elettori delle forze di opposizione (in primis quelli pentastellati) si recherebbe al voto. E i NO, come si sa, provengono quasi esclusivamente da quelle forze. Se votasse il 60%, ad esempio, il corpo dei votanti proverrebbe per quasi il 65% dai partiti del NO e per il 35% dai partiti per il SI. Non ci sarebbe quindi storia; anche se alcuni elettori di quei partiti andassero alla fine verso il SI, il risultato finale non potrebbe essere diverso.
E’ anche vero però che sono proprio loro, cioè gli elettori dei partiti all’opposizione, quelli meno sicuri di recarsi alle urne. E man mano che aumentano le defezioni provenienti dagli elettori del NO, il SI riuscirebbe ad erodere poco alla volta il vantaggio della parte avversa, aumentando la quota di elettori vicini al PD. I quali, per inciso, sono propensi a confermare la riforma in proporzioni prossime al 90%.
Ecco dunque l’importanza del livello di affluenza. Più la partecipazione sarà contenuta, intorno al 40-45%, più è facile che vinca il SI; più sarà elevata, più facile che vinca il NO. Perché, ricordiamolo ancora, la materia percepita del referendum non è quella di promuovere o bocciare la riforma costituzionale, ma quella di tenersi o mandare a casa Matteo Renzi. E su questo si voterà.
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