Partiti e politici

La tristezza di un congresso fuori tempo (e fuori dalla storia)

17 Novembre 2016

Sono andata a sentire Bersani, l’altra sera alla Amerikahaus di Monaco di Baviera, già sapendo della sua intenzione di votare no al referendum e già subodorando aria di congresso anticipato del PD (anche se ancora non era uscita la sua intervista al Corriere). Ma mai avrei pensato che in realtà, anziché di una riflessione sulla riforma costituzionale, si sarebbe trattato di un comizio da Festa dell’Unità rivolto all’intera comunità italiana di Monaco, come se fossero tutti (o quasi) iscritti al PD – e come se fossimo tutti d’accordo con lui.

Molto ci sarebbe da dire sul ruolo dei Comites, organismi di rappresentanza delle comunità italiane all’estero: in passato ho già avuto modo di iniziare alcune riflessioni (qui e qui), ma senz’altro ci ritornerò. Quello che mi preme, ora, è raccontare come la Segretaria di un Circolo PD possa vivere una serata come quella di ieri.

La sala è piena, si attende Bersani. Facciamo due chiacchiere con il giornalista tedesco Helge Roefer, che lo intervisterà: a modo, gentile, ottimo italiano. Non ingranerà la serata, facendosi divorare dai ritmi italiani della discussione e non riuscendo a inserirsi per davvero. Peccato. Bersani inizia a parlare: ad un incontro sul Referendum esordisce parlando del ripiegamento della globalizzazione e degli scenari globali, non dimenticando, nei punti chiave, di citare la necessità di una nuova sinistra. Io sono perplessa: mi aspettavo una critica al processo di accentramento così contrario alla devolution che lui stesso aveva votato nel 2001. Mi aspettavo argomenti tecnici sulle tempistiche delle modifiche all’Italicum. Mi aspettavo un po’ di quel calcolo aritmetico con cui da Floris, questa primavera, diceva di aver valutato la riforma costituzionale. E invece la Costituzione viene nominata, per un bel pezzo, solo a tratti e in modo generico. Pian piano alcuni temi emergono: ed ecco alla ribalta “la democrazia del capo”, il “chi vince piglia tutto”, “il merito stretto di questa riforma è… è un no!”, e poi un argomento ancora più incredibile: se vince il sì dopo mezz’ora, secondo lui, comincerà “il trip” della campagna elettorale e si andrà a votare presto, senza avere il tempo per riorganizzarsi le idee (!). Mentre se vince il no, non potendo votare con l’Italicum come legge elettorale per la Camera e con un proporzionale puro al Senato, si dovrà mettere mano alla legge elettorale – tempi tecnici: un anno, ma a onor del vero si potrebbe già votare con il Consultellum… – e solo dopo si potrà andare alle urne.

Iniziano le prime domande, nel pubblico una signora chiede di chiarire il ragionamento sulla data delle elezioni. Bersani ribadisce: se vince il sì credo si voti in fretta, se vince il no si voterà più avanti. Io non riesco a credere alle mie orecchie: per paura della “mucca nel corridoio” l’ideale sarebbe dunque ritardare l’appuntamento elettorale? Aspettare che passi la nottata planetaria e votare quando le acque saranno più calme, con l’ottima compagnia di un altro governo tecnico? Perché certo, potete stare tranquilli, io non toglierò il mio sostegno a Renzi se vincerà il No. E se lui si dimetterà Mattarella risolverà la situazione. E i commentatori finanziari diranno tutti che non c’è alcun problema (casualmente – ironia della sorte – proprio in quel momento uno dei miei contatti Facebook postava un articolo della Frankfuter Allgemeine Zeitung decisamente meno ottimista). Ah, un’aggiunta: in Italia ovviamente i Cinque Stelle sono pericolosi, portano “roba brutta” (e poco importa che facciano parte di quello stesso Comites che lo ha invitato e che siano presenti in sala: non siamo forse qui alla Festa dell’Unità?).

In alcuni momenti l’argomentazione si fa surreale. Bersani parla come se il suo annus horribilis, il 2013, non fosse mai esistito. Per chi, come me, ricorda con qualche crampo di stomaco la campagna delle ultime politiche – o per chi, come un’amica presente in sala, nel 2012 Bersani lo aveva convintamente sostenuto, per venirne tristemente delusa nel momento dello streaming con Grillo per la formazione del “Governo del Cambiamento” – sentirsi dire che “bisogna essere sfidanti coi Cinque Stelle”, e che se i Cinque Stelle avessero accettato di lavorare con lui avrebbe fatto subito “tre o quattro lenzuolate” – sentire queste cose ha avuto uno strano e sgradevole effetto di déja-vu.

Un ragazzo aggiunge tra gli argomenti per il No la perdita di sovranità dell’Italia rispetto all’Europa. Mi aspetto che Bersani tranquillizzi l’uditorio almeno su questo: sanno tutti che questo specifico articolo (Art. 117) viene modificato meramente a livello terminologico (da “ordinamento comunitario” si passa a “ordinamento dell’Unione Europea”). È una delle bufale più ricorrenti, e tra i sostenitori del No con cui discuto non viene mai nemmeno nominata. Ma la risposta è fumosa: dell’articolo incriminato non si dice nulla, mentre il discorso si piega sul ruolo del Senato. Peccato, penso. Un’occasione persa per riportare il dibattito nel merito (e di ragioni per votare No nel merito ce ne sono, ce ne sono eccome: ma certo non riguardano i rapporti con l’Unione Europea).

Un signore si alza e inizia a raccontare della sua esperienza da sindacalista in Germania, poi sventola La Repubblica con il titolo sugli urli “Fuori! Fuori!” alla Leopolda. “Questo qui mi ha fatto male… ma questo è un abusivo! Un Presidente abusivo!”. E mentre i moderatori cercano di farlo sedere, Bersani sorride e muove leggermente la mano. Non lo zittisce, non cerca di limitare il danno. Accetta senza scomporsi che un elettore – presumibilmene del PD – consideri Renzi un abusivo. Ad un altro punto della discussione, ipotizzando un PD “perno e infrastruttura” di un’area di centro-sinistra,  aveva sostenuto che “il Segretario ce lo scegliamo noi, tra iscritti”: forse dovrei dirlo, a Bersani, che quel signore del PD a Monaco non fa parte, e non è nemmeno mai venuto ad una nostra manifestazione. E forse dovrei anche dire ad alta voce nella sala che fino a prova contraria il Segreterio del PD è scelto da iscritti ed elettori con primarie aperte, e che se si cambierà qualcosa lo si farà regolarmente con un Congresso. Ma sto zitta e aspetto il mio turno.

Che arriva. Snocciolo gli emendamenti Finocchiaro che hanno portato al quorum di garanzia per l’elezione del Presidente della Repubblica, al giudizio preventivo della Corte sulle leggi elettorali, all’elezione dei giudici della Corte separatamente tra Camera e Senato per ridurre il potere della maggioranza di Governo; parlo della riforma della decretazione d’urgenza che ridà centralità al Parlamento. Non ripeto slogan, ma argomento. Dico che sostenere che “chi vince prende tutto” è falso. Lui risponde un po’ stizzito, chiedendomi se io conosca la clausola di chiusura per l’elezione del Presidente della Repubblica. Io non parlo il gergo parlamentare, ma conosco bene il meccanismo e i numeri: sono sicura di quello che sto dicendo (perché mica lo dico solo io! Lo dicono i calcoli matematici). E lui mi dice che non è vero: chi vince si prende il Presidente della Repubblica. Senza portare numeri, senza minimizzare in alcun modo la “svolta autoritaria”, citando solo la famigerata clausola di chiusura. Dice che rispetta la Finocchiaro ma insomma, questa cosa è pericolosa. Che sì, per carità, la decretazione d’urgenza è stata riformata, ma che i poteri del Governo certo non diminuiscono. Io rimango allibita da tanta pochezza argomentativa, e anche dal moto di stizza che noto nella sua risposta. Mi mette tristezza che siamo arrivati a questo punto.

Continuano le domande, il pubblico applaude un po’ lui e un po’ chi lo critica. Sembra rappresentare bene quella parità, leggermente pendente per il no, di cui parlano tutti i sondaggi. Gli argomenti sono disparati, e c’è preoccupazione: per le sorti dell’Italia e per le sorti della sinistra, del centro-sinistra, del centrosinistra, del PD. Fa male la percezione che qualcosa si sia rotto, e chissà se si può aggiustare. La fiducia reciproca sembra mancare, e io torno a casa triste: penso a chi, nel nostro Circolo, si è fatto tutti i passaggi che dal PCI hanno portato a Renzi, e quasi si commuove implorando di evitare l’ennesima scissione a sinistra. E mi chiedo se sia giusto, nei confronti di queste persone, anticipare il congresso PD giocandoselo su un referendum che in tanti – anche a sinistra – hanno aspettato a lungo.

Per fortuna il 4 dicembre arriverà presto. E comunque vada, temo, porterà con sé un po’ della tristezza che ho provato l’altra sera.

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