Partiti e politici
La “terza” Lombardia, angolo povero della regione più ricca
Il 12 e 13 febbraio saranno tre i candidati a contendersi lo scranno di presidente della Lombardia. A sfidare Attilio Fontana, il governatore uscente della Lega, ci saranno Letizia Moratti, ex vice di Fontana, ex ministra di Berlusconi ed ex sindaca di Milano per Forza Italia, ora appoggiata da Azione-Italia Viva, e il parlamentare europeo Pierfrancesco Majorino, sostenuto da una coalizione di centrosinistra tra PD, Verdi e Movimento 5 Stelle.
Per tutti la Lombardia è la regione più popolosa e più ricca d’italia, quella che da sola produce un quinto del PIL nazionale. Da lontano, la Lombardia è la regione di Milano, un tempo grande centro industriale, oggi riscopertasi metropoli aperta e innovativa, in prima linea sui diritti civili e sull’ambiente, in sintonia con le amministrazioni progressiste che la governano dal 2011.
Ma oltre Milano c’è la vasta provincia lombarda, ben diversa dal suo capoluogo. Ed è (soprattutto) grazie a questa enorme provincia di oltre 6,5 milioni di persone che la destra, prima con Forza Italia (1995-2013) e poi con la Lega (dal 2013) vince sempre, con ampio margine, da ventotto anni. Oltre a Milano ci sono almeno due altre Lombardie. A nord e ad est, da Varese a Brescia, c’è la Lombardia delle migliaia di PMI, artigiani e lavoratori autonomi. È una Lombardia ricca, tutta rotonde, villette e capannoni, solido feudo democristiano prima di diventare culla del leghismo.
E poi c’è la “terza” Lombardia, la Bassa Padana che fino agli Ottanta del secolo scorso votava socialista o comunista e che oggi, dopo una lunga parentesi berlusconiana e un fugace innamoramento per la Lega di Salvini, guarda alla destra di Giorgia Meloni, che a settembre ha sfiorato il 31%. Questa è la parte meno lombarda della Lombardia, è la parte meno abitata e meno ricca che ha un po’ smarrito se stessa a cavallo tra deindustrializzazione e crisi finanziaria.
A Pavia, che della bassa è la provincia principale, la disoccupazione è sopra la media lombarda, mentre aspettativa e qualità della vita sono tra le più basse della regione. Secondo il Sole 24 Ore, nel 2021 questa è stata la provincia lombarda col più alto numero di percettori del reddito di cittadinanza, 10,89 ogni mille abitanti, ed è anche una di quelle in cui si guadagna meno, con un reddito medio di poco sopra i 19 mila euro. Impietosi anche i dati sull’innovazione: penultima provincia per numero di imprese che fanno e-commerce, sotto la media italiana per presenza di startup innovative.
Paolo Gerli, originario dell’Oltrepo Pavese e Lecturer in Digital Innovations alla Napier University di Edinburgo, dove studia governance of smart places e trasformazione digitale delle zone rurali, spiega che “tutta questa zona sta, in un certo senso, subendo la digitalizzazione senza giovarne. Assistiamo al proliferare di centri logistici per l’e-commerce in tutta la provincia, ma la presenza di multinazionali del digitale non ha ricadute sullo sviluppo locale dell’imprenditoria digitale e sulla creazione di start-up”. Per Gerli la prossima giunta regionale dovrà continuare a “supportare lo sviluppo delle infrastrutture digitali, come le reti a banda ultra larga, soprattutto nelle aree più rurali che soffrono ancora il divario digitale”.
Assicurare l’accesso alla banda larga a un numero crescente di comuni è una priorità anche per Enea Felice Vercesi, presidente di CNA Pavia, sezione provinciale della Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa. Vercesi punta il dito contro le “grandi carenze nelle infrastrutture, tecnologiche e fisiche, che allontanano questa provincia dal resto della regione. Per questo servono – spiega Vercesi – investimenti sulla rete ferroviaria e per ristrutturare i ponti che richiedono interventi ormai da decenni”. Simone Stefanuto, un funzionario che per CNA segue il comparto manifatturiero, mi fa notare che la provincia di Pavia è indietro anche nell’uso di energia elettrica da rinnovabili. “Per questo da tempo stiamo chiedendo – racconta – l’istituzione di comunità energetiche dove convogliare massicci interventi nelle rinnovabili per garantire una crescita sostenibile, a basso impatto, delle aziende del nostro territorio.”
Sempre guardando alla digitalizzazione, Gerli spiega che “il rilancio passa anche da una strategia per lo sviluppo di competenze digitali avanzate, che permettano alle imprese locali, anche quelle più tradizionali, di trarre vantaggio dalle nuove tecnologie. Poiché la formazione è materia di competenza regionale, questo è sicuramente un ambito su cui Palazzo Lombardia potrebbe e dovrebbe investire di più”. La formazione, infatti, è un punto dolente. Nonostante Pavia sia sede del più antico ateneo lombardo, ancora oggi il migliore tra le grandi università pubbliche secondo la classifica Censis, è anche l’ultima provincia lombarda per numero di laureati e terzultima per numero di NEET, i giovani che non studiano e non lavorano: sono il 19,40%. Giovanna Debattisti, da vent’anni insegnante di filosofia e storia in un liceo classico della provincia, non si stupisce per questo dato. “Nella generale svalutazione della scuola e della cultura – aggiunge Debattisti – le istituzioni culturali della nostra provincia non sono evidentemente così forti.” Se lo studio non è più inteso come strumento di promozione sociale, “noi continuiamo anche a riprodurre – conclude l’insegnante – una storica separazione tra cultura delle élites, concentrata soprattutto nell’Università, e tutto il resto.”
Anche se mancano meno di due mesi al voto, da queste parti non c’è ancora traccia della campagna elettorale e nessuno sembra interessarsi alle prossime elezioni. Sinora l’affluenza è stata più alta della media nazionale, ma in passato le elezioni regionali lombarde erano abbinate alle elezioni politiche o a quelle comunali. Coi primi sondaggi ad indicare solo un lieve vantaggio del governatore uscente sullo sfidante di centrosinistra, un’astensione più alta potrebbe cambiare un risultato che per molti è già scritto.
Per Antonio Sacchi, consigliere comunale PD a Pavia dopo una vita da dirigente in Provincia, la politica può rispondere a questa disaffezione solo “tornando ad interpretare, se non addirittura a prevedere, i bisogni autentici di una società impoverita, in tutti i sensi, e confusa.” Ma non solo, perché senza una profonda revisione del ruolo dei comuni e delle province, intese queste come “imprescindibili enti di riferimento per uno sviluppo coeso dei territori, sarà impossibile attuare gli indirizzi e i programmi regionali” spiega Sacchi. A colmare il divario delle aree interne ci provano centinaia di amministratori locali che devono superare le maggiori difficoltà per accedere ai fondi regionali per l’assistenza sociale, per le infrastrutture e per il terzo settore, con stanziamenti che scarseggiano da anni. L’assessore di un piccolo comune oltrepadano fa i conti della sua amministrazione, chiedendo di restare anonimo. “Noi abbiamo un bilancio di circa 2 milioni e mezzo di euro” spiega l’assessore “e di questi circa 100 mila euro vanno in assistenza sociale. La Regione ne co-finazia solo 12 mila euro. Sembra che tutto vada bene, ma siamo messi malissimo, siamo tra i peggiori della Lombardia” conclude l’assessore.
In effetti, in tanti hanno scommesso per anni su investimenti che non sono arrivati, prevedendo uno sviluppo economico e una crescita demografica che non si sono avverati. È proprio in questa “terza Lombardia” che, dopotutto, si misurano i fallimenti del modello lombardo, l’eccellenza di un sistema che funziona bene per pochi, non per tutti. E da qui, forse, potrebbe arrivare l’inaspettata spinta al cambiamento dei vertici regionali.
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