Partiti e politici
La telefono no? Chissà chi vincerà. Questa politica è una camera a gas
Mi telefoni o no, mi telefoni o no, …
chissà chi vincerà…
Questo amore è una camera a gas …
(Gianna Nannini, Fotoromanza)
Luigi Di Maio: “Se devo dire qualcosa alla Raggi la telefono”, ieri a “Politics”. Non solo Pinochet e il Venezuela: questa America Latina, ai futuri statisti deve apparire come una specie di macchia geografica indistinta, più sfocata dei Balcani, dell’Africa e dell’Asia centrale. Non solo l’analfabetismo informatico: non vuoi finire nella cronologia di Facebook? Devi cancellare tutto il messaggio con l’errore, riscriverlo corretto e ripubblicarlo: se lo correggi solamente resta traccia oltre al fatto che i maledetti lurker sono pronti a fotografare la pagina (screenshot). Eppure i Novissimi politici invocano la Rete come una divinità popolare dei riti misterici eleusini della democrazia roussoviana senza rispondere mai alla domanda: quis custodiet ipsos custodes … ma soprattuto i suoi server?
“La telefono” tuttavia è napoletanismo piuttosto diffuso e perdonabile se non ci si è messo in testa di governare lo stato libero di banana. Una mia collega di Napoli, laureata in lettere, continuava a ripeterlo senza neanche accorgersene acquistando bagliori sexy più di quelli che emanava grazie a madre natura. Gli errori grammaticali nelle belle donne si estinguono con la restituzione di uno sguardo. Ma in uno statista?
Però attenzione: occorre ridacchiare solo un po’. Evitare accuratamente di fare i precisetti e i saputelli più di tanto. Partendo dal presupposto che occasionalmente siamo tutti webeti occorre essere leggeri nei rimbrotti, perché, in odio agli intellettuali e alle élite, le masse non attendono altro che identificarsi con i loro amati leader bru-bru in un grandioso effetto rispecchiamento ormai collaudato. È proprio vero: più fai notare errori più l’elettorato si galvanizza e anche shakespearizza, inscena tragedie sanguinolenti in cui accade una carneficina e muore pure il suggeritore.
Siamo in un loop mediatico-elettorale molto chiaro ormai: una volta eliminati i fastidiosi intellettuali, il popolo si rispecchia nel popolo; ammazzato il Grillo Parlante (quello della favola!), Pinocchio ( o Pinochet?) fa ciò che gli pare, finalmente. In fondo avevano ragione i vecchi presidi: non c’è sistema migliore per capire il voltaggio mentale di una persona che sentirlo parlare o vederlo scrivere. Ma allora aveva ragione anche il diabolico Moretti di “Palombella rossa” quando diceva “Chi parla male, pensa male e vive male”… Aggiungere: “governerà anche male”?
Certo poi la mente va a Renzi e si scoprono carenze linguistico-culturali analoghe con i Neruda strappati da Google senza ulteriori controlli. Una volta c’erano le garzantine, più affidabili se le sapevi consultare. Tragico quando si appurerà che i social media manager dei leader sono i leader stessi. E insomma: sono gli effetti perversi della generazione quiz. Tuttavia Renzi anche quando parla “a braccio” riesce a condurre in porto il discorso con una certa allure stilistica quantomeno e con un certo controllo della retorica di base. Sarà che l’indignazione fa il verso? Che ha in petto sempre l’odio verso D’Alema anche quando parla della revisione delle rendite catastali? O sarà un certo perfido esprit florentin che lo assiste con accorta vigilanza fino alla fine? In ogni caso non appare proprio un principiante assoluto come Dibba o Di Maio. Se poi si pensa che questi ultimi vanno in giro come statisti in pectore ci accorgiamo che siamo finiti in un film di Stanlio e Ollio quando per sbaglio passano in rassegna la truppa, e scappa da ridere se non ci fosse da piangere.
Eh sì, non sappiamo a che santo votarci. Diciamoci la verità: la democrazia compiuta è un incubo, questa è l’acquisizione recente negli anni del populismo impazzito.
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