Partiti e politici

La scomparsa della sinistra

5 Marzo 2018

Se c’è un merito di questa tornata elettorale è di aver svelato definitivamente una verità che un certo mondo ha voluto negare fino ad oggi: il fatto che da tempo la sinistra non esiste più.

Ci siamo illusi (mi metto con franchezza nel novero) che nascosti in un fantomatico bosco, o dispersi in fantomatiche praterie, ci fossero gli elettori di sinistra: quelli che coltivano gli ideali della solidarietà e dell’uguaglianza, dell’antifascismo, del pacifismo, dell’antirazzismo e dell’ambientalismo. Ci siamo convinti che si fossero rifugiati da qualche parte, indisposti dalla pochezza di chi avrebbe dovuto rappresentarli ma comunque disposti a farsi rappresentare. E invece no.

Dobbiamo ammetterlo ormai: nel bosco non c’è nessuno, le praterie sono un deserto; quei valori non valgono più, almeno non nel modo in cui valevano un tempo. Mentre noi ci cullavamo nella nostalgia, la politica ha cambiato il suo paradigma.

Quando è successo? Se dovessi dire una data, mi verrebbe in mente Genova nel 2001. Forse è lì che la consapevolezza della dimensione globale dei cambiamenti e dei problemi che si affacciavano e il tentativo di rispondervi con una voce sola sono finiti inermi e massacrati. O forse altrove, in un altro momento, chissà: per me erano anni di intenso impegno familiare, della visione miope di chi sta crescendo dei piccoli… fatto sta che tutto è cambiato e non me ne sono accorta.

Ciò che è venuto meno, è l’impegno collettivo: l’idea che ci sono problemi che si possono affrontare e risolvere solo superando la propria dimensione individuale, spendendosi per ciò che è lontano nel tempo e nello spazio. Fateci caso: oggi le persone chiedono allo Stato (o all’UE, alla politica, alla società) di potersi realizzare, di vedere garantiti i propri diritti, insomma di poter curare in pace il proprio orticello. Anche chi ha degli ideali “di sinistra” (ad esempio la solidarietà o la tutela dell’ambiente) tende a coltivarli nella propria dimensione personale, all’interno di una cerchia ristretta e “si accontenta” di questo: di essere in pace con sé stesso, di aver fatto il proprio pezzettino. Non dico che questo non sia encomiabile, ci mancherebbe: ma mi pare che si sia proprio persa la percezione del fatto che non è sufficiente.

Ecco in che modo è stato possibile l’impensabile, cioè che persone con una cultura e una storia di sinistra si identificassero in un movimento personale, caotico e privo di visione come i Cinque Stelle: perché la prospettiva non è stata più quella di cambiare il mondo, ma di garantire un pezzettino di benessere a ciascuno – e allora hanno preso senso la diffidenza verso gli immigrati, un pacifismo che è soprattutto disinteresse, un ambientalismo che è quasi solo “nimby”, il reddito di cittadinanza come panacea di ogni male, l’aiuto alle piccole imprese come sola prospettiva di sviluppo. Ecco come è stato possibile l’ancora più impensabile, cioè che una parte della sinistra diventasse sovranista, concentrata sull’interesse nazionale, che è solo una proiezione di quello individuale; che indulgesse nel tradizionalismo e in una vaga xenofobia, come se la difesa da ogni cambiamento fosse l’unica strategia per tutelare i più deboli.

Da dove ripartire allora? Come contrastare la deriva verso il ripiegamento sul “particolare”? Qualcuno suggerisce di ricostruire la sinistra a partire proprio da questo: dal mutualismo, dall’iniziativa locale e dalla solidarietà quotidiana, come hanno provato a fare i militanti che hanno dato vita a Potere al Popolo, per ricostruire poco a poco il senso del collettivo. Sono piena di ammirazione, ma nello stesso tempo scettica: perché occorre che la situazione individuale della grande maggioranza delle persone diventi davvero grama affinché tutti si convincano, partendo di nuovo da zero, che è necessario affrontare i problemi di tutti, mettendosi tutti insieme. E’ un percorso lunghissimo da ricominciare da capo e irto di ostacoli, perché fino a quando le persone avranno ancora qualche bene o beneficio personale da tutelare – una casa di proprietà, un assegno pensionistico, una posizione sociale per quanto minima – l’istinto di autodifesa tenderà sempre a prevalere.

Di certo dovrà passare molto tempo e le cose dovranno peggiorare significativamente prima che a qualcuno torni in mente ciò che già sapevamo: che è l’unione a fare la forza, che solo remando tutti insieme nella stessa direzione si esce dalle secche, che può valere la pena sacrificarsi per il bene di qualcun altro. Per il momento si può solo restare a guardare, rammaricandosi della propria cecità passata e sperando di non finire subito in un’altra ancora peggiore

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