Partiti e politici

La rottamazione può attendere: in giro per l’Italia comanda ancora il vecchio Pd

9 Marzo 2015

C’era una volta la rottamazione, la storia che narrava come i vecchi avrebbero fatto largo ai giovani. Si diceva: «Sarà un fenomeno nuovo», una rivoluzione sia al centro, nel partito, che nella periferia, tra i dirigenti locali. Ma la storia dai tratti fiabeschi, per quanto affascinanti, non è diventata realtà. Matteo Renzi ha dovuto fare i conti con i cacicchi di dalemiana memoria. Il Lìder Maximo, quando era al comando del centrosinistra, definì in questo modo i “capi locali” del partito, mutuando la figura dei caciques, i capi tribù del Sud America.

Ora, comunque li si voglia definire, il Rottamatore resta ostaggio dei potentati locali, dalla Toscana alla Sicilia, passando per le Marche e impantanandosi in Campania e Puglia. Il viaggio delle Regionali non sarà una passeggiata, ma una faticosa traversata nell’Italia profonda dove gli elettori votano volti noti legati a un passato che non passa e quindi non conosce rottamazione. I cacicchi sono rappresentati, negli ultimi giorni, dallo sceriffo di Salerno, Vincenzo De Luca. E hanno una caratteristica: non sono disposti a piegarsi ai desiderata del Pd nazionale.
La culla del no alle primarie

Il primo esempio arriva proprio dalla Toscana, culla del Rinascimento e, ora, del no alle primarie. Nella regione natia di Renzi, il governatore Enrico Rossi è stato in passato un acerrimo nemico del rottamatore non facendo mai mistero della propria avversione nei confronti dell’ex sindaco di Firenze. Ma tra i due è tornato all’improvviso il sereno quando il presidente della Regione ha rassicurato il premier sull’affaire dell’Aeroporto fiorentino. E non è un caso che qualche giorno prima del via libera sulla ricandidatura di Enrico Rossi, quest’ultimo abbia dichiarato, e poi fatto approvare in consiglio regionale una variante al Pit (Piano di indirizzo territoriale) che prevedeva  l’allungamento della pista di Peretola fino a due mila metri.  Una benedizione che ha consolidato la sua posizione, facendosi beffe delle rimostranze di chi voleva le primarie. Luciano Modica, ex rettore dell’Università e senatore dell’Ulivo,  ha cercato di chiamare gli elettori ai gazebo, ma non ha raggiunto il numero di firme necessarie. Anche perché dal partito non è arrivato alcun supporto: bastava un minimo di mobilitazione e le primarie sarebbero state possibili.

La geografia democratica si arricchisce di un altro caso, quello delle Marche. L’attuale presidente, Gian Mario Spacca – eletto con il Pd alle ultime Regionali – rischia di essere il principale avversario di Luca Ceriscioli, recente vincitore delle primarie. La competizione ha visto la sconfitta di Pietro Marcolini, un assessore della giunta Spacca. Un bel rebus. Così il governatore in carica, dopo aver sancito l’intesa con Area popolare (Ncd e Udc), potrebbe ricevere l’appoggio anche da Forza Italia. Al momento si limita a chiedere voce in capitolo sulle alleanze, e non solo. Altrimenti potrebbe sottrarre una “roccaforte rossa” al Pd.

Roma Capitale e questione meridionale

A Roma non ci sono elezioni, né Regionali né Comunali. Ma la Capitale resta il teatro degli “iscritti fantasma” al partito. I numeri dopati servivano ai vari signori delle tessere per rivendicare la loro piccola postazione di comando sul territorio. Il commissario, Matteo Orfini, è stato spedito in missione per conto del Matteo segretario. Dopo aver scoperchiato la pentola romana del Pd, una pentola che conosce molto bene vista la sua lunga militanza nel partito romano, il presidente dell’Assemblea nazionale si è limitato all’ordinaria amministrazione: è troppo complicato affrontare i potentati locali che minacciano la stabilità dell’amministrazione Marino.

Renzi ha pure la sua questione meridionale da affrontare. Dopo il cacicco calabrese Mario Oliverio e il gattopardismo siciliano, con il passaggio di ex sostenitori di Cuffaro nelle fila del centrosinistra, il presidente del Consiglio ha incrociato il cammino con delle vecchie conoscenze: Michele Emiliano e Vincenzo De Luca. I due hanno in comune il risentimento nei confronti del rottamatore. L’ex sindaco di Bari ricorda ancora lo schiaffo ricevuto alle Europee: doveva essere il capolista e fu retrocesso per fare spazio alla renzianissima Pina Picierno. Una decisione che lo ha portato alla rinuncia alla candidatura. Adesso, con le Regionali in Puglia, può far valere il proprio peso elettorale sul tavolo del renzismo.

Vincenzo De Luca, invece, è stato tradito durante formazione del governo: i voti portati alla causa di Renzi – alle primarie di dicembre 2013 – non sono bastati a ottenere la riconferma nella compagine dell’esecutivo (De Luca era viceministro nell’esecutivo di Enrico Letta). Lo sceriffo di Salerno ha incassato il colpo con nonchalance, ma ha servito il piatto freddo della vendetta alle primarie in Campania. Davanti alle richieste di fare un passo indietro, lui ha scelto di farne due in avanti. E ha battuto la “coalizione” renziani-Giovani Turchi, che aveva puntato su Andrea Cozzolino. La prova di forza deluchiana è stata impressionante: ha sconfitto un avversario sostenuto dal sistema di potere napoletano. Il pandemonio va anche oltre: a Napoli ci saranno le Comunali, ma le recenti primarie hanno bruciato due nomi; quello di Cozzolino, per la sconfitta contro De Luca, e forse anche quello di Gennaro Migliore, candidato in ritardo (per cercare di conquistare la vittoria sulle ali del renzismo) e ritirato in anticipo (per evitare una figuraccia). Del resto è noto: sul territorio non serve il profilo nazionale, né qualche hashtag brillante, ma i voti “porta a porta”.

Gran finale Liguria

Il viaggio finisce a Nord al punto di partenza, là dove sono cominciati i problemi: in Liguria. La vittoria di Raffaella Paita ha provocato uno smottamento a sinistra, con le dichiarazioni bellicose di Sergio Cofferati e la nascita di un laboratorio politico per un partito simil-Syriza, in grado di raccogliere tutte le istanze progressiste. La rete a sinistra nasce come risposta al sistema dei cacicchi, incarnato dalla macchina del potere legata all’attuale presidente Burlando. E cerca di insidiare la vittoria democratica, creando qualche grattacapo a Renzi, che a maggio non può concedersi vittorie striminzite. Proprio lui che non vuole sporcarsi le mani con i potentati locali, inviando il messo Lorenzo Guerini a trattare. Ma che non può far finta di niente di fronte all’avanzata dei cacicchi.

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