Partiti e politici
La rivoluzione fiscale di Renzi? I conti non tornano, e i Comuni moriranno
Articolo di Sandro Brusco – pubblicato su noiseFromAmerika.org
Renzi sembra essere particolarmente affezionato al termine ”rivoluzione copernicana”. La promessa riduzione delle tasse a partire dal 2016 è almeno la terza annunciata quest’anno (sì, anche le altre erano ”copernicane”, anche se di rivoluzione copernicana ce ne fu solo una), dopo la riforma della pubblica amministrazione e la riforma del mercato del lavoro (giobbatt per gli amici). Questa rivoluzione per il momento è in fase d’annuncio e come era accaduto in episodi precedenti gli esatti contorni dei provvedimenti che verranno intrapresi non sono ancora chiari. Ci torneremo quindi in futuro.
Cosa si può commentare ora? Ci sarebbe l’ovvia questione delle coperture, ma altri hanno già scritto sul tema meglio di quanto io possa fare. È tra l’altro roba già vista con governi di vari colori e più o meno si sa come andrà a finire: dei tre modi di far fronte al taglio di certe tasse, ossia aumento di altre tasse, riduzione della spesa e aumento del deficit, ne verranno usati principalmente due. Lasciamo al lettore l’esercizio di congetturare quale strumento avrà un ruolo secondario. Se lasciamo al futuro una analisi più dettagliata della proposta, nel presente vogliamo fare un po’ controvoglia alcune considerazioni sullo stile comunicativo e su come l’annuncio dell’ennesimo abbandono del sistema tolemaico è stato trattato sulla stampa.
La prima osservazione riguarda questioni di aritmetica elementare e di appropriata definizione delle quantità. Renzi su Facebook ha parlato di una riduzione di 50 miliardi in 5 anni, includendo tra gli anni il 2014 (con il provvedimento degli 80 euro) e il 2015 (taglio IRAP sul lavoro). L’ANSA, nello stesso articolo che annuncia i 50 miliardi in 5 anni, parla di 45 miliardi nel triennio 2016-2018. Atri hanno parlato di una riduzione di 35 miliardi di tasse in tre anni. Il balletto di cifre irrita, ma lo ignoro e prendo per buona la cifra dei 45 miliardi in tre anni (non si dovrebbero sommare flussi di cassa appartenenti ad anni differenti, ma passiamoci sopra). La domanda è: ma questi 45 miliardi, sono la somma di cosa? Qui sta il mio problema: se taglio le tasse sulla prima casa per 5 miliardi nel 2016, e sotto l’ipotesi che la tassa non verrà ripristinata nel 2017, nel triennio i miliardi che lo stato perde sono 15. Quindi, i 20 miliardi di promessa riduzione nel 2017, cosa sono? Ci si potrebbe salvare in corner dicendo che il taglio aggiuntivo, quello che dovrebbe riguardare Ires e Irap, dovrebbe essere di 15 miliardi, ossia quanto manca a 20 dopo aver tenuto conto dei 5 miliardi persi sulla prima casa. Per il 2017 ce la siamo cavata, ma il 2018? Siccome, si spera, non si taglia Ires e Irap nel 2017 per poi farla risalire nel 2018, vuol dire che per il 2018 abbiamo già impegnato tutti i 20 miliardi che mancano ad arrivare a 45: 5 sono quelli persi con l’eliminazione della tassa prima casa fatta nel 2016, e altri 15 sono persi per la riduzione delle imposte sulle imprese del 2017. Ma il grafico ci dice, tranquillo tranquillo, che ci sono altri 20 miliardi pronti per ridurre l’Irpef (e aumentare le pensioni minime, che a quanto pare è diventato un taglio di tasse; potenza delle rivoluzioni copernicane). Cosa ho io di sbagliato? Perché certi dubbi vengono solo a me? E che vengano solo a me è chiaro, visto che nessuno ne ha parlato o ha provato a chiedere a Renzi o al suo entourage come quadravano i conti.
La seconda osservazione è piuttosto banale. In pochi (tra questi il sempre meritorio Bordignon) si sono peritati di osservare come l’eliminazione della tassa sulla prima casa getterà nuovamente nel caos le già sfibrate finanze comunali. Verrebbe da dire che l’eliminazione della tassa sulla casa è la pietra tombale definitiva sul federalismo, ma sarebbe scorretto. La pietra tombale è stata posta già da diversi anni, e sulla tomba sono state inoltre effettuate a più riprese copiose colate di cemento. Dimentichiamoci quindi del federalismo, che chiaramente agli italiani non interessa. Ma qua si sta mettendo una pietra tombale su qualunque possibilità di effettuare una programmazione minimamente coerente delle risorse a livello locale. Ci ritroveremo, è facile prevedere, con i soliti debiti commerciali non pagati da parte degli enti locali. Tutti urleranno allo scandalo. Mi chiedo quanti cercheranno di unire i puntini e trovare il collegamento tra l’accumulo dei debiti commerciali degli enti locali e l’incertezza permanente che questi subiscono sulle loro fonti di finanziamento.
L’ultima osservazione riguarda un tema che su queste colonne ci è caro, quello del depredamento fiscale delle nuove generazioni. Renzi poteva intervenire usando le poche risorse fiscali a sua disposizione per rendere permanente il taglio dei contributi sociali che è stato introdotto nel 2015 per i nuovi assunti a tempo determinato. Si tratta di una piccola mina vagante nel sistema fiscale italiano, dal momento che alla scadenza rischia di avere un certo impatto sull’occupazione e sui salari. La riduzione dei contributi sociali beneficia principalmente i giovani lavoratori, ossia il settore della popolazione che più ha perso in termini di potere d’acquisto durante la crisi. Renzi ha scelto altrimenti. L’eliminazione della tassa sulla prima casa beneficia principalmente le classi medio-alte più anziane. La riduzione dell’Irpef, per come sembra configurarsi, sarà un’estensione del provvedimento degli 80 euro alle pensioni, ossia agli anziani con reddito medio-basso. La spiegazione appare banale. I vecchi sono di più e sono meglio organizzati. Se vuoi vincere le elezioni, li devi blandire. Per i giovani, c’è sempre l’emigrazione.
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Pubblicazione originale su Noisefromamerika.org
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