Partiti e politici

La renziana che può salvare il Pd, l’intellettuale che lo farà sprofondare

19 Agosto 2018

Quelli che vogliono salvare il Partito Democratico si dividono in due eserciti: chi ne ha davvero il desiderio interiore, profondo, quella passione antica, e chi invece nasconde, sotto le spoglie di un interesse superiore (il Paese, le sorti della democrazia, l’argine contro i barbari moderni…), il malcelato, purissimo, piacere di vederlo sprofondare sottoterra, il partito tutto, insieme al suo ultimo, maledettissimo segretario che non è Martina. Ma poi, il Pd si deve salvare per forza? Nessun medico lo impone, neppure Matteo Renzi, il protagonista più riconosciuto, che è ancora in una terra di mezzo: andare, restare, delegare, chissà. Qualcosa però è percepibile anche in questa fase lattiginosa ed appare subito come un paradosso della storia: il Partito Democratico può essere salvato solo dagli stessi renziani, quelli che ne hanno condiviso la storia bella, carica di aspettative, di visioni, di fantasia. Dunque, esattamente coloro che poi ne hanno sentito nitidamente l’alto tradimento, non certo gli avventurieri del Giglio Magico. Tutti gli altri finti salvatori del Pd che in questo tempo si agitano, ovviamente non renziani da sempre, in realtà agiscono senza la nitidezza e il peso del tradimento, che è un sentimento rabbioso ma che può portare al perdono e a una nuova vita.

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Queste due categorie, così ben distinte per obiettivi sensibili, quando emergono in superficie – sui social, nei dibattiti pubblici, negli scritti – sostengono, entrambe, di parlare in nome e per conto della sinistra, di una sinistra ideale, ancora molto vaga, ma comunque meritevole di superare tutte le barriere del passato e di potersi riunire sotto un’unica bandiera. Naturalmente, una delle due non dice tutta la verità. Scoprire l’inganno non è cosa semplice finché il dibattito rimane nei confini stretti della sinistra, tutti hanno buon gioco a ridefinirne i tratti più salienti, riavvicinandosi agli ultimi, eliminando le disuguaglianze, riappropriandosi di quel senso comune che si era perso in epoca renziana. Epperò, a un certo punto c’è una frattura, una corda tesa che si spezza, ed è lo sguardo sui mondi “impropri” degli altri, non più avversari politici, ma ormai identificati come nemici da abbattere. Ecco, quando la sinistra giudica gli altri, irrimediabilmente smaschera sé stessa.

In questi ultimi giorni in cui la tragedia di Genova ha occupato le nostre anime, molto si è detto e scritto dei nuovi governanti. Come hanno reagito, come hanno speculato, come oscenamente si sono mossi in un teatro di dolore. Nessuno, da sinistra, ha risparmiato nulla, ogni gesto, ogni umore è stato vivisezionato, come è anche naturale che sia. Solo che, se a essere predominante è un tratto ossessivo, a tutti i livelli, che paradossalmente ha come capo cordata un uomo che con la sinistra non c’entrerebbe più come Giuliano Ferrara, il quale ne fa una questione prima di tutto antropologica («L’opposizione ai gialloverdi nazionalpopulisti si può e si deve fare mirando a ciò che essi sono, prima che a quello che fanno…i cialtroni vanno combattuti per quello che sono»), beh, allora riemergere da questa fanghiglia non sarà per nulla semplice. Le ossessioni portano generalmente a distruggere sé stessi.

Sotto questo cielo, due esempi sono illuminanti. Straordinariamente illuminanti. Come in un mondo rovesciato, c’è una renziana della primissima ora che si batte orgogliosamente perché si illumini la luna e non il dito. E che dice: abbandonate l’ossessione per i “nemici”, cercate di analizzare i fenomeni in profondità senza rabbia, servirà soprattutto a noi del Pd. Lei è Cristiana Alicata, di professione manager, felicemente sposata con la sua compagna, già nella direzione del Pd e, Per completezza, nel cda Anas in vecchia quota renziana. Questa scelta, lo diciamo subito, ci parve un tratto volgare di potere che non condividemmo. È storia di due anni fa. Cristiana Alicata ha visto come tutti i funerali di Genova. Ha visto anche il fiume social che ha investito Salvini per quel selfie fatto con una signora. Ci ha ragionato su. Poi ha scritto quanto segue.

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“Sommessamente. Ho visto l’intera scena del selfie di Salvini ai funerali di Stato. Aveva accanto una ragazza, si è girato e si è trovato nella scena, poi immortalata dall’altro lato, nella foto che gira. Suggerisco ai dirigenti del PD tanto concentrati su questo , di concentrarsi sul fatto che la Genova che era presente ha applaudito l’omelia dell’imam di Ancona ( ma noi siamo concentrati su qualche applauso e qualche fischio). Quanto è complessa la realtà, eh. Che se PD ha ricevuto fischi è perchè ha governato e viene riconosciuto come potere. Sì anche la Lega governa e ha governato, ma il nostro msg di essere “potere” è passato più forte. Loro sono più bravi ad essere ” uno di noi”. Domandiamoci questo invece di commentare un istante. Se commentiamo gli istanti: come mai non gira la foto di Salvini che un minuto prima del selfie fa una carezza, dolcissima, ad un donna nera tra le persone a salutare chi arrivava? Una foto che nessuno ha fatto e forse sarebbe stata più forte da raccontare in contrasto alla politica omicida sui migranti di questo governo, in stretta continuità con quella del governo precedente, solo meno elegante. La narrazione deve essere sincera per arrivare al cuore. La sinistra ritrovi la sincerità. Non ne ha più. per questo non è più credibile. Non sono loro a vincere. Siamo noi a perdere”.

Questo scritto ci è sembrato uno straordinario passo verso la rinascita del Pd, un passo coraggioso, un momento di aria pura, quel vento leggero e profondo che ti fa analizzare i fenomeni senza pregiudizio. Credo che Cristiana Alicata continui a essere orgogliosamente renziana, per il tratto comune di strada fatto con il segretario, al quale non ha mai risparmiato critiche. Questo è ancora un valore. Prendere il buono che c’era e portarlo nel futuro. Dovrà probabilmente spiegarlo anche al suo vecchio-giovane leader, che è rimasto al tempo del rancore.

Chi invece affosserà quel che resta del Partito Democratico è proprio un antirenziano, intellettuale del nostro tempo, Giuseppe Genna, che raccontano come un bravo scrittore (noi abbiamo letto soltanto articoli per i giornali). Questa vena politico-letteraria, il Genna la mette orgogliosamente a disposizione sui social, facendosi commentare. Ha un popolo che giustamente lo ama, tra lettori e semplici appassionati. Anche a lui è toccato di raccontare gli umori di questi governanti, applicati alla tragedia di Genova, e non tradendo quella superiorità morale cara agli intellettuali di un tempo, ha tratteggiato il “suo” vice premier: «Ierisera, il più innocentemente possibile, assistevo al Tg2 e, il più colpevolmente possibile, sono rimasto travolto un non tanto improvvisato comizio del vicepremier Di Maio. Era uno sproloquio strategicamente volto alla conquista di un consenso subitaneo a partire dal lutto nazionale per la tragedia del ponte Morandi a Genova, qualcosa di immarcescibilmente stupido e cattivo, l’elementarità del processo piazza privo di qualunque mediazione riflessiva, una speculazione indegna sul dolore e sulla reattività al dolore. In non poche battute, questo discorsetto da piccolo duce intestinale raggiungeva un record storico, che neppure il tycoon dell’epoca passata si era permesso di toccare : veniva liquidato in quattro e quattr’otto l’intero sistema democratico….Non mi sento di annoverare me stesso nelle file dei moralisti, non è mai stata una prospettiva personale, per quanto mi riguarda: ma mi sento di annoverare il vicepremier (sia l’uno che l’altro) nelle schiere degli immorali, perché stanno portando a culmini prevedibili un omicidio etico, un genocidio del sistema articolato di virtù e vizi. È la premessa maggiore di un’ontologia sociale che mostra i caratteri precisi della riduzione a uno di tutte le cose, il che è per me il rappresentante di un fascismo metaforico, di un filosofema che ha fatto milioni di morti nel corso della vicenda umana». (L’intero intervento, che affido alla vostra infinita pazienza, lo trovate su giugenna.com).
In questo caso, l’esercizio letterario fa premio su tutto il resto, persino sulla sottile inquietudine del polemista d’essere fuori registro nei toni prima ancora che nei contenuti. Che sono, lo potete notare, già definitivi dopo pochi mesi di governo.

Ma il Genna su Facebook non si ferma al genere letterario. Nel post successivo, introduce un elemento discriminatorio, l’ho chiamato, commentandolo, “un modesto razzismo snob», l’interessato se n’è adontato. È quando commenta quegli applausi nel corso del funerale: «Sono sempre stato insospettito dai popoli che plaudono i governanti. Figuriamoci da quello che li acclama durante i funerali di Stato. C’è un’insostenibile visceralità nella scena in cui Salvini e l’altro sono stati accolti a Genova…» Ecco il salto di qualità, Genna non nomina Di Maio, lo chiama “l’altro”, non gli riconosce la dignità e la liceità di essere presente in quel teatro di dolore. Un meccanismo, quello di non riconoscere, appunto, l’altro, che sospinse Veltroni all’operazione scellerata di non nominare mai Berlusconi nel corso di tutta la campagna elettorale. Come finì, sapete bene.
Come finirà, sappiamo bene. La forza distruttiva di Genna piegherà la consapevole profondità di Cristiana Alicata. E dunque, per la gioia di tutti i gennanti (che peraltro assomigliano tanto ai foglianti) e quelli come loro, il Partito Democratico sprofonderà.

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Ps. Per fatto personale, rivelerò un particolare. Sia Alicata che Genna mi hanno bannato, non considerandomi meritevole di un vicendevole confronto. Alicata si è scassata i cabbasisi dopo un tempo congruo, nel corso del quale lo scambio è stato magari anche aspro, ma sempre (sempre) assolutamente educato e rispettoso. Genna, a dispetto dei pipponi infiniti che scrive, ci ha messo un amen. Cinque minuti e Fusco è sparito.

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