Partiti e politici
La “proposta Calenda” parte dal 25%
Non è ovviamente Calenda in sé che importa, quanto Calenda per sé. Non ci interessa capire cioè quanto valga la persona di Carlo Calenda, o un suo eventuale partito, in termini elettorali (probabilmente non molto più di Matteo Renzi), quanto ciò che la sua proposta potrebbe significare nel panorama politico della sinistra, o del centro-sinistra, italiano.
Oggi pronunciare il nome del Partito Democratico equivale a suscitare immediate reazioni negative nella maggioranza dell’opinione pubblica. Non è noto il motivo, né quali siano le ragioni più profonde di una accesa levata di scudi nei suoi confronti, come se fosse stato il male assoluto per il nostro paese negli anni del suo governo. Il noto tormentone “…e allora il Pd?” è diventato ormai luogo comune in tanti discorsi elettorali, e ho l’impressione che non ce ne libereremo presto.
Che sia stato per colpa di Renzi, o per colpa degli esecutivi cui il partito ha partecipato direttamente o indirettamente dal 2011 in poi, resta il fatto che il mantra dei misfatti Democratici è divenuto il leitmotiv di gran parte degli elettori, che lo incolpano di molte delle cose che in Italia non funzionano.
E allora, per la sinistra, c’è bisogno di qualcosa di nuovo, di qualcosa di diverso, che possa diventare appetibile per coloro che nutrono sensazioni particolarmente negative sul futuro del paese, a causa di questo esecutivo giallo-verde a trazione salviniana e leghista.
L’ha ben compreso Chiamparino che, in Piemonte, punta soprattutto sulla mobilitazione dei cittadini scontenti e delusi da questo nuovo governo, ma con una proposta che non vede tanto il Pd come punto di riferimento fondamentale, quanto un movimento di cittadini critici e pronti ad imbarcarsi in una nuova avventura politica, basandosi sui territori, sulle organizzazioni civiche, sui movimenti di base online e offline, sulla politica non incentrata sui partiti più tradizionali.
La proposta Calenda potrebbe (dovrebbe?) andare in questa direzione, per essere vincente, per venir accompagnata da un’ampia apertura di credito da parte dell’elettorato deluso sia dai nuovi governanti sia dalla deriva che sta prendendo il Partito Democratico, nell’opinione di tanti suoi antichi elettori. Un partito che appare ripiegato su se stesso, impegnato a liberarsi dal retaggio renziano, ma senza una vera forza propulsiva.
Forza che (forse) potrebbe avere una piattaforma di larghe intese per tutta la sinistra, dove si punti maggiormente sulle proposte concrete, sul modello di ciò che sta accadendo in alcune delle città o delle regioni governate da sindaci o presidenti meno politicanti e più vicini ai bisogni e ai problemi della popolazione.
L’occasione delle europee è, per questa proposta, soltanto l’inizio di un percorso che dovrebbe avere margini più ampi nel futuro, con un progetto più politico e meno partitico per un’Italia diversa, con i contorni ancora da definire ma su cui concentrarsi nei prossimi mesi. E un buon punto di partenza è proprio l’appoggio che sembra arrivare dai responsabili dei diversi territori, consapevoli dell’impasse che il Pd sta vivendo in questi mesi.
Quanto potrebbe valere, comunque, un progetto di questo tipo già alle Europee? Non moltissimo, è chiaro. Le prime stime ci raccontano di una generica adesione almeno di un 25% della popolazione elettorale, a patto che non si presentino congiuntamente tutte le diverse sigle di partito, ma che funzioni come una sorta di “Uniti nell’Ulivo” di ormai tanto tempo fa, dove confluiscano tutti gli elettori di quell’area.
Non è facile e, a mio parere, alla fine non accadrà nulla del genere. Ma questa è probabilmente l’unica strada, per la sinistra, per non vivere di stenti per un periodo ancora molto lungo.
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